Le distanze astrali (parte I)

Abbiamo visto negli articoli precedenti come, dopo notevoli sforzi, si sia riusciti ad avere una qualche cognizione delle misure celesti relative al nostro sistema solare; in questo articolo andremo a considerare come si è pervenuti alla determinazione delle distanze delle stelle della nostra galassia, passo che porterà a determinare distanze astronomicamente maggiori: quelle delle galassie, anche quelle più lontane.

Iniziamo col dire che già nel 1440 uno studioso tedesco, Nicola Cusano (Nikolaus Krebs von Kues), sosteneva che lo spazio era infinito e che le stelle erano dei soli disseminati a grandi distanze, illimitatamente, in tutte le direzioni, ciascuno con il proprio corteggio di pianeti abitati. Egli attribuiva alla grande distanza il fatto che le stelle non avevano lo stesso aspetto del sole, ma apparivano come piccole macchie luminose; purtroppo Nicola Cusano non aveva prove da addurre per sostenere le sue idee, che avanzava come semplici opinioni. Esse apparvero avventate e il loro autore venne ignorato. Qualcosa accadde però quando nel 1718 l’astronomo inglese Edmund Halley, il quale stava lavorando intensamente per determinare al telescopio le posizioni esatte di varie stelle, trovò che tre delle stelle più brillanti – Sirio, Procione e Arturo – non si trovavano nelle posizioni tramandate dai greci. La differenza era troppo grande per essere un semplice errore, anche tenendo conto del fatto che le osservazioni degli astronomi greci erano necessariamente effettuate a occhio nudo. Halley giunse alla conclusione che le stelle, malgrado tutto, non sono fisse nel firmamento, ma si muovono liberamente, come api in uno sciame. Il loro moto è assai lento, ed era così poco visibile prima che le si potesse osservare al telescopio, che esse erano apparse fisse nel cielo. La ragione per cui questo moto proprio delle stelle è tanto piccolo sta nella loro enorme distanza da noi. Invece le tre stelle osservate da Halley sono relativamente vicine e questo fatto ha reso osservabile il loro moto proprio. Il problema stava nell’impossibilità di poter determinarne l’effettiva distanza, nonostante la percettibilità del loro spostamento indicasse una relativa vicinanza; allora si cambiò metodo: naturalmente le stelle più vicine dovevano presentare una parallasse rispetto a quelle più lontane; eppure, non era possibile osservarla. Anche quando gli astronomi presero come linea di base l’asse maggiore dell’orbita della terra intorno al sole, osservando le stelle dalle opposte estremità dell’orbita a intervalli di sei mesi, non riuscirono a scorgere alcuna parallasse. Si giunse quindi a comprendere che anche le stelle più vicine dovevano essere terribilmente lontane. Il fatto che fossero perfettamente visibili a queste grandissime distanze rendeva evidente che dovevano essere delle immense palle di fuoco, simili al nostro sole. Nicola Cusano aveva dunque ragione.

Schema per l'esemplificazione della parallasse: si vede che i punti migliori per il calcolo di questa grandezza coincidono con gli estremi dell'asse maggiore dell'orbita terrestre.
Schema esemplificativo della parallasse: si vede che i punti migliori per il calcolo di questa grandezza coincidono con gli estremi dell’asse maggiore dell’orbita terrestre.

Nel frattempo i telescopi e gli altri strumenti continuavano a progredire. Negli anni trenta del XIX secolo l’astronomo tedesco Friedrich Wilhelm Bessel fece uso di un’apparecchiatura inventata da poco, l’eliometro così chiamato perché originariamente doveva servire a misurare il diametro del sole con grande precisione. Lo si poteva usare altrettanto bene per misurare altre distanze in cielo, e Bessel lo usò per misurare la distanza tra due stelle. Osservando di quanto mutava la loro distanza di mese in mese, Bessel alla fine riuscì a misurare la parallasse di una stella. Scelse una piccola stella della costellazione del Cigno, chiamata 61 Cygni. La ragione della sua scelta fu che essa presentava di anno in anno un moto proprio insolitamente grande rispetto allo sfondo costituito dalle altre stelle, il che faceva supporre che si trovasse più vicina delle altre. Egli prese nota con grande precisione delle posizioni successive di 61 Cygni rispetto alle stelle «fisse» circostanti (presumibilmente molto più lontane) e seguitò a fare queste osservazioni per più di un anno. Poi, nel 1838, fu in grado di affermare che 61 Cygni aveva una parallasse di 0,31 secondi di arco (la larghezza di una moneta vista da una distanza di 16 chilometri!) Questa parallasse, osservata prendendo come linea di base il diametro dell’orbita terrestre, significava che 61 Cygni si trovava a una distanza di circa 100 trilioni [1 con 14 zeri] di chilometri (9000 volte l’ampiezza del nostro sistema solare). Pertanto il sistema solare, in confronto alla distanza delle stelle più vicine, si riduce a un punto insignificante nello spazio.

 

L'eliometro usato da Bessel
L’eliometro usato da Bessel

Data l’enormità delle cifre in gioco (si tratta di distanze REALMENTE astronomiche) gli astronomi decisero di ridurle, esprimendo le distanze tramite la velocità della luce, che è di 300 mila chilometri al secondo. In un anno, la luce percorre qualcosa come 9,46 trilioni di chilometri: tale distanza viene pertanto chiamata anno luce. In termini di questa nuova unità, la stella 61 Cygni è distante circa 11 anni luce.
Due mesi dopo il successo di Bessel, l’astronomo inglese Thomas J. Henderson annunciò di aver trovato la distanza della stella Alpha Centauri. È risultato che essa ha una parallasse di 0,75 secondi di arco, più di due volte quella di 61 Cygni, e che quindi è di altrettanto più vicina a noi. In effetti Alpha Centauri dista solo 4,3 anni luce dal sistema solare ed è la stella più vicina. In realtà non è neppure una singola stella, ma un sistema di tre stelle molto ravvicinate.

Particolare dell'obiettivo montato sull'eliometro.
Particolare dell’obiettivo montato sull’eliometro.

Nel 1840 l’astronomo russo di origine tedesca Friedrich Georg Wilhelm von Struve comunicò la parallasse di Vega, la quarta stella del cielo in ordine di luminosità. Risultò poi che vi era un leggero errore in questa determinazione, fatto però comprensibile, visto che la parallasse di Vega è estremamente piccola e la sua distanza considerevole (27 anni luce).

Agli inizi del 1900 erano una settantina le stelle di cui erano state determinate le distanze con il metodo della parallasse, considerando che un centinaio di anni luce costituisce all’incirca il limite della distanza misurabile con una certa precisione, anche con gli strumenti migliori. E innumerevoli stelle si trovano a distanze molto superiori; basta infatti pensare che ad occhio nudo siamo in grado di vedere circa 6000 stelle!

Schema di funzionamento: Le due metà della lente si possono muovere come in figura. Con tale movimento appare una doppia immagine sul piano focale e le due immagini risultano separate proporzionalmente allo spostamento eseguito delle due metà di lente. Se si vuole misurare la distanza angolare tra una determinata stella ed un punto fisso nella stessa regione (ad esempio un’altra stella). Osservando con le due semilenti separate osserveremo la stella come due punti luminosi separati tra loro. Si regola allora lo spostamento delle due metà della lente in modo che una delle due immagini della stella vada a coincidere con il punto fisso di riferimento (l’altra stella).A questo punto è facile risalire alla distanza angolare tra stella e punto fisso, attraverso la distanza delle due immagini fornite dalle due metà della lente e misurata dalla vite micrometrica che fa spostare le semilenti, divisa per la distanza focale del telescopio utilizzato. Lo strumento era quindi molto utile per misurare parallassi.

C’era dunque ancora molto lavoro da compiere per questi studiosi; perciò nella seconda parte di questo articolo vedremo quali scoperte fecero e come queste ci hanno avvicinato a quello che oggi consideriamo come certezze.
Al prossimo articolo, dunque!

 

Le Fonti:
  • The Asimov's New Guide to Science, in Italia col titolo Il Libro di Fisica, Arnoldo Mondadori Editore, 2000, ISBN 88-04-41445-6, per i dati storici;
  • Wikipedia, l'enciclopedia libera, per i dati tecnici.

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Giovanni

Sono alto nella media; sono robusto nella media; sono bello nella media; sono intelligente spropositatamente. Detto questo devo rendere noto solo che adoro la fantascienza in tutte le sue forme; gioco frequentemente on line al vecchio (immortale) Jedi Knight: Jedi Academy e mi diletto leggendo manga che considero 'di un certo livello'. Ho studiato fisica, perché mi hanno sempre incuriosito i meccanismi che regolano la realtà intorno a noi, ma l'oggetto vero della mia passione sta milioni di chilometri sopra di noi, e si mostra appena solo di notte, il cosmo, coi suoi oggetti affascinanti e fenomeni terribilmente meravigliosi. Il resto è vita comune, poco accattivante.
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