Sareste mai riusciti a pensare che un giorno, il vostro corpo avrebbe potuto ospitare dei piccoli (anzi, microscopici) tuttofare per aggiustare le vostre cellule? Ebbene, la scienza lo ha fatto. Negli ultimi anni infatti si è sviluppata una nuova particolare branca della bioingegneria, la nanorobotica, unione di robotica e nanotecnologie. Si sono riuscite a creare delle nano-macchine, più comunemente dette nanorobot, in grado di agire a livello molecolare, se non proprio atomico nelle nostre cellule. Tutto questo ha come obiettivo il miglioramento della qualità della vita umana e dell’ambiente, e per fare ciò si utilizzano dei dispositivi microscopici, biocompatibili e biodegradabili.
Ad esempio vengono utilizzati per combattere il cancro in maniera più precisa, per trasportare farmaci in maniera mirata, per migliorare la diagnostica, ma anche per archiviare informazioni (un bioingegnere dell’Harvard’s Wyss Institute è riuscito ad immagazzinare 5.5 petabit – quasi 700 terabyte – in una cellula di DNA), oppure per ripulire l’oceano o per aprire nuove frontiere nell’ambiente energetico. Ma dal momento che stiamo ancora agli albori di tutto ciò, perché non sognare un futuro in cui i nostri cervelli saranno collegati ad internet?
Tale concetto, quello delle nanotecnologie, potrebbe essere stato introdotto dall’eminente fisico, premio Nobel, Richard Feynman in un suo discorso del 1959 “There’s Plenty of Room at the Bottom”, nel quale egli immaginò che un giorno le macchine potessero essere miniaturizzate ed enormi quantità di informazioni potrebbero essere codificate in spazi minuscoli, aprendo la strada a sviluppi tecnologici dirompenti (proprio come i nanorobot). Anche se questa idea venne sostanziata e introdotta meglio nel 1986 con Drexler.
Vi starete chiedendo dunque di che cosa sono fatti questi dispositivi minuscoli. Se ne sono sviluppati molti tipi, dai più “semplici” ai più complessi.
Uno di questi è basato sulla tecnica di origami del DNA, che sfrutta la grande capacità dell’acido nucleico nel formare legami molto stabili tra le varie basi azotate complementari tra loro (come la adenina e la timina).
L’università dell’Arizona, utilizzando questa tecnologia, han inventato un nanorobot di DNA autonomo e in grado di neutralizzare le cellule tumorali di alcuni topi. Questi fantastici marchingegni sono iniettati nel sangue e individuano le cellule difettate, per poi rilasciare un enzima (la trombina) che causa l’aumento della coagulazione sanguigna. Dunque questi coaguli che si vengono a formare lasciano la cellula tumorale senza sangue, che quindi muore.
Il video qui sotto è una riproduzione grafica che spiega meglio il processo accennato sopra:
Dunque la scienza e la nostra irrefrenabile curiosità ci porteranno in futuro in scenari fantastici ed entusiasmanti, sebbene non sia da escludere l’aspetto etico delle nuove tecnologie. Come dal dibattito riguardante l’ingegneria genetica e dei suoi innovativi strumenti (come Crispr-Cas9, di cui si potrebbe eventualmente parlare in un nuovo articolo), il dubbio e la perplessità condivisa è quella del passaggio ad un nuovo tipo di essere umano, ad un nuovo stadio dell’evoluzione e ad una selezione naturale di chi non possa permettersi l’utilizzo di tecnologie tanto avveniristiche. Purtroppo il futuro e l’ignoto fanno inevitabilmente paura e la diffidenza è un sentimento pienamente condivisibile, ma per ora allontanare questo tipo di ricerche sarebbe soltanto controproducente. Quindi per ora limitiamoci a scoprire e perfezionare le nostre conoscenze tecniche e tecnologiche, e solo con il tempo e con la saggezza che immagazzineremo potremmo scegliere un futuro etico ma al tempo stesso fantastico. E di questo passo, grazie ai nanobot, non dovremmo aspettare molto.
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