Tomb Raider: recensione del titolo reboot

Il reboot è quasi di moda, e quindi anche una delle più importanti saghe videoludiche non ha potuto tirarsi indietro: si riscrive l’origine della storia di Lara Croft e dunque il titolo è semplicemente “Tomb Raider”. Il gioco era molto atteso perché arriva dopo cinque anni dall’ultimo capitolo puro “Underworld”. Inoltre, gli stessi sviluppatori avevano annunciato un rinnovamento, grazie anche al passaggio della Eidos (la storica casa di Tomb Raider)alla Square Enix. Nuova filosofia, dunque nuova storia.


La nuova, bellissima, Lara.

Partiamo da qui, dalla storia e dalla trama. Lara è una giovane e inesperta archeologa che fa parte di una spedizione che cerca il regno perduto di Yamatay. Lei suggerisce di cambiare rotta e battere altre strade, ma la loro nave finirà preda di una violenta tempesta e naufragheranno su un’isola misteriosa abitata da uomini violenti e da mercenari dagli oscuri intenti. Nel corso del gioco Lara capirà di trovarsi proprio a Yamatay e che i suoi nemici sono adepti di un certo Mathias, che millanta di essere profeta della Regina del Sole, Himiko. L’unico modo di scappare dall’isola sarà confrontarsi con questa strana setta. Ne risulta una trama appassionante e ricca di colpi di scena, molto articolata ma piacevole.


L’archeologa alla prese con alcuni ritratti della regina Himiko.

È il personaggio di Lara quello centrale, che vedremo crescere sotto i nostri occhi. All’inizio del gioco avremo fra le mani una Lara impaurita e dubbiosa di sé, che piange e si dispera spesso: simbolo ne è la scena in cui dovrà uccidere un cervo per sfamarsi, in cui chiede scusa all’animale con fare timoroso. Col passare del tempo, anche per necessità, Lara diventerà più dura e sicura: ucciderà il suo primo uomo, affronterà il dolore fisico con coraggio (cauterizzerà una ferita con una punta di freccia rovente, da sola…) e si farà spavalda sfidando apertamente i propri nemici a fare il loro meglio. Il personaggio di Lara non è già formato e lineare come nei precedenti capitoli, ma si evolverà insieme a noi, risultando quindi molto ben costruito.


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Anche l’ambientazione è differente dal solito: il gioco è più crudo e diretto ed è anche stato vietato ai minori; avendo a che fare con un’isola selvaggia e con una setta degenerata ci saranno immagini molto forti: corpi appesi e dilaniati, sangue che scorre a fiumi (in alcuni casi letteralmente!) e scene di trapasso al limite dello splatter, specie per Lara. Il gioco è dunque forte ma soprattutto spettacolare, molto cinematografico: ci ritroveremo a dover scappare mentre tutto intorno a noi crolla senza aver tempo di pensare, a interagire durante le animazioni premendo il tasto giusto al momento giusto (un po’ come in Prince of Persia: I Due Troni), ad evitare pericoli durante ripide scivolate su pendii o corsi d’acqua.

Questo carattere cinematografico però non sempre si coniuga bene con la giocabilità: non è sempre chiaro capire dove finisce l’animazione e dove comincia il controllo da parte del giocatore, e la cosa alle volte fa davvero arrabbiare.


Una situazione piùttosto…”intrigante”. If you know what i mean!

La vera figata del gioco è l’arco, l’arma principale di Lara in questa avventura. Sembra che il gioco sia fatto apposta per incoraggiarvi ad usarlo, grazie alle numerose sequenze quasi stealth in cui Lara dovrà passare inosservata e uccidere i nemici in modo silenzioso; in alcuni casi sono previsti delle deviazioni al percorso principale che vi porteranno sul trespolo per poter meglio approfittare di arco e frecce. Inoltre, molto utile sarà anche “l’istinto di sopravvivenza”, con cui Lara vedrà diversamente l’ambiente circostante mettendo in evidenza risorse e nemici; una modalità che si coniuga ottimamente con l’uso dell’arco.

Ci sentiamo dunque di consigliarlo, per passare lunghe ore avvincenti. Gli appassionati dei giochi d’avventura non possono che salutare il ritorno della regina Lara con entusiasmo, perché è un ritorno in grande stile.

Mario “Gomez” Iaquinta

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Mario Iaquinta

Nato da sua madre “dritto pe’ dritto” circa un quarto di secolo fa, passa i suoi anni a maledire il comunissimo nome che ha ricevuto in dote. Tuttavia, ringrazia il cielo di non avere Rossi come cognome, altrimenti la sua firma apparirebbe in ogni pubblicità dell’8×1000. Dopo questa epifania impara a leggere e scrivere e con queste attività riempie i suoi giorni, legge cose serie ma scrive fesserie: le sue storie e i suoi articoli sono la migliore dimostrazione di ciò. In tutto questo trova anche il tempo di parlare al microfono di una web-radio per potersi spacciare per persona intelligente senza però far vedere la sua faccia. Il soprannome “Gomez” è il regalo di un amico, nomignolo nato il giorno in cui decise di farsi crescere dei ridicoli baffetti. Ridicoli, certo, ma anche tremendamente sexy, if you know what I mean…
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