L’idea che la nostra realtà possa essere una simulazione non è solo fantascienza, ma una teoria filosofica e scientifica discussa da secoli. Un informatico dell’Università di Louisville, Roman Yampolskiy, ha esplorato se esiste un modo per evadere dalla presunta simulazione come in Matrix. Il concetto è affascinante, ma le implicazioni e i rischi sono enormi. Ma soprattutto: è possibile?
Davvero viviamo in una simulazione? Ecco il trucco (forse) per uscirne
René Descartes già nel XVII secolo speculava su realtà illusorie, ma fu nel 2003 che il filosofo di Oxford Nick Bostrom lo rese celebre con una stima sorprendente: ci sarebbero almeno il 20% di probabilità che la nostra vita sia una simulazione avanzata. Partendo da questa base, Roman Yampolskiy ha cercato di rispondere alla domanda più intrigante: come si esce da un mondo finto?
Lui è ispirato ai glitch e agli exploit dei videogiochi per immaginare strategie di fuga. L’idea è che, se il nostro universo fosse davvero governato da un sistema computazionale, dovrebbero esistere falle da sfruttare. Come direbbe Caparezza, un “beta-tester celeste”.
Alcuni esempi? Creare un paradosso incalcolabile che metta in crisi il sistema o sovraccaricare la simulazione, magari sincronizzando milioni di persone in un’attività collettiva, come meditare insieme e poi agire all’improvviso.
Si prefigura quindi non più la possibilità dell’azione di un prescelto, bensì della collettività. E questa cosa è bellissima.
Tra le teorie di “fuga” proposte da altri pensatori, alcune includono tentativi di comunicare direttamente con i nostri “simulatori” o persino cercare di manipolare il codice che governa il nostro universo. Un’impresa tanto ambiziosa quanto rischiosa.
Ma davvero possiamo sapere se viviamo in una simulazione? Secondo Yampolskiy e altri scienziati, ci sono fattori che minano la plausibilità dell’idea. Per esempio, religioni che postulano entità superiori o tecnologie avanzatissime, come il Large Hadron Collider, non sembrano aver influenzato la presunta simulazione.
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Inoltre, anche acquisire consapevolezza del sistema non ne intacca l’esistenza, come dimostrano le molteplici riflessioni filosofiche e scientifiche sul tema.
Un’altra domanda cruciale è: perché voler scappare? L’uscita potrebbe rivelarsi tutt’altro che piacevole, come insegnano le esperienze di Neo in Matrix. Tuttavia, Yampolskiy crede che accedere alla realtà di base offrirebbe conoscenze “vere” e una capacità computazionale superiore.
Ma il prezzo di tale scoperta è incerto: e se gli stessi simulatori avessero aggiornato il sistema per evitare fughe, cancellando la memoria collettiva? Se tutto è illusione, allora tanto vale viverla pienamente, dandole un senso e uno scopo. È un atteggiamento che ricorda il “come se” di Vaihinger o l’assurdo di Camus. Non elimina la tragicità della condizione umana, ma permette forse di non soccombere ad essa.