Recentemente alcuni ricercatori del Natural History Museum di Londra, insieme a colleghi della Tōhoku University del Giappone, hanno scoperto tracce di ghiaccio fossile nella struttura di un frammento di meteorite la cui datazione risale ai tempi della formazione del Sistema Solare, ragion per cui potrebbe aiutare la ricerca a comprendere meglio alcuni meccanismi che hanno portato alla formazione della Terra e degli altri pianeti.
Dal ghiaccio al Sistema Solare
Il frammento di meteora oggetto dell’attenzione degli studiosi è noto, tra loro, con la sigla Acfer 094. La roccia spaziale che cadde in Algeria nel 1990, circa 30 anni fa, pesa solo 82 grammi, ma si ritiene che possa essere parte di un asteroide più grande e preistorico. Il frammento è stato già sottoposto a diverse analisi per vari studi intenti ad ampliare le nostre conoscenze sui meteoriti e le loro interazioni con altri corpi celesti, in particolare col nostro pianeta, ma di recente sono stati compiuti studi, evidentemente non possibili prima, che hanno fatto emergere nuovi dati relativi alla presenza di acqua, nella forma di ghiaccio, su queste rocce vaganti, scoperte mediante la presenza, nella sua struttura interna, di ciò che viene definito “ghiaccio fossile”, vale a dire piccole tasche vuote lasciate dalla fusione, e successiva evaporazione, del ghiaccio che prima le riempiva.
Dato che, come abbiamo detto pocanzi, questo frammento è stato già oggetto di dviversi studi, come mai solo ora si ègiunti a scoprire dell’esistenza di queste tasche, o “ghiaccio fossile”? La risposta, in realtà è molto semplice: se fino ad ora, le ricerche non sono state in grado di studiare la matrice della meteora in modo sufficientemente dettagliato da individuare il ghiaccio fossile, i recenti perfezionamenti nella tecnologia, ed in particolare nel ramo della microscopia, hanno permesso di risolvere quantità incredibili di informazioni da piccoli campioni della roccia spaziale, portandoci a vedere ciò che prima era passato letteralmente inosservato.
A sottolineare l’importanza che questa scoperta riveste nell’ambito della ricerca in merito alla genesi del nostro sistema solare, basta l’affermazione di una voce autorevole in merito a questa ricerca, ovvero il curatore di Petrologia presso il Museo di Storia Naturale di Londra, Il dott. Epifanio Vaccaro, che ha commentato così in merito:
La meteora in questione risale a circa 4,6 miliardi di anni fa quando nacque il Sole e si formò il nostro sistema solare. Si ritiene quindi che la matrice di questi meteoriti possa essere il materiale di partenza da cui si sono formati tutti i pianeti.
Quando il sistema solare stava iniziando a prendere forma, emergendo dai residui di gas e polveri noti come disco planetario, l’attività della neoformata stella aveva già spostato lontano i materiali più leggeri, facendo in modo che gli elementi più pesanti cominciassero ad aggregarsi fino a dare origine a planetesimi che, continuando a collidere e a fondersi formarono i primi protopianeti, i quali a loro volta, continuando a raccogliere materiale dalla nube planetaria,sono accresciuti fino a divenire gli attuali pianeti. Alla fine di questo processo, i materiali più pesanti si depositarono sul nucleo mentre silicati più leggeri andarono a formare i mantelli esterni e le croste.
In merito a questo processo, il dottor Vaccaro ha dichiarato:
Quando ciò accade, tutto il materiale di partenza che avevamo nel disco protoplanetario è andato via mentre attraversava il processo di fusione e ricristallizzazione, il che limita ciò che possiamo imparare studiando le rocce della Terra. Ciò significa che se vogliamo capire com’era fatta la polvere quando si è formato il sistema solare, dobbiamo tornare indietro e prendere parte del materiale che non ha attraversato questo processo di differenziazione. In alcuni meteoriti, come appunto Acfer 094, abbiamo quel materiale di partenza conservato.
Stando a quanto scoperto sino ad ora, i ricercatori sono stati in grado di costruire un modello di come si è potuto formare il corpo meteorico a cui un tempo apparteneva Acfer 094, e sembrerebbe che questo, formato inizialmente da ghiaccio soffice e pulviscolo, si sia in un primo tempo spostato verso l’esterno della nube planetaria, superando quella che gli scenziati chiamano “linea di neve”, un confine nel disco planetario oltre il quale può esistere acqua ghiacciata, per poi tornare indietro verso il Sole. Come conseguenza, il ghiaccio contenuto nel corpo dell’oggetto si è sciolto lasciando i pori nella matrice della roccia.
Anche questa notizia concorre nel ricordarci che, per quanto possiamo aver già appreso sull’universo e sul nostro pianeta, c’è sempre qualcosa che ci sfugge e che dobbiamo conoscere meglio, se non apprendere del tutto; e in questo senso la ricerca scientifica ha un duplice ruolo: ridimensionarci in paragone alla vastità e alla complessità del cosmo, ma anche aprirci le porte della conoscenza di questa affascinante meraviglia che è l’universo.
Daily Express per la notizia.
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