La Federazione Italiana Editori Giornali (Fieg) ha denunciato nei giorni scorsi apertamente la piattaforma Telegram di violare le norme sul diritto d’autore, permettendo la presenza di gruppi sui quali i periodici vengono diffusi gratuitamente sotto forma di Pdf. Il gruppo più grande conta circa 125 mila membri. Le perdite sono sostanziali. Tuttavia nel mondo moderno il sistema di pagamento dei giornali per singola copia è antiquato. Sono i giornali, non Telegram la principale causa della crisi dell’editoria.
Ecco 10 motivi per cui la Fieg sbaglia:
- Internet nasce per favorire una più ampia condivisione possibile di contenuti, lo suggerisce lo stesso nome “social”. Impedirlo è anti-storico.
- Il prezzo di vendita per copia dei giornali è il retaggio di un’editoria passata, ante Publitalia potremmo dire, dove la pubblicità non aveva la stessa portata economica di oggi ed i lettori finanziavano direttamente le redazioni. I giornali che si reggono soltanto sul prezzo delle copie sono oggi perlopiù periodici di partito o di estrema sinistra: quelli, per capire, che molti militanti vendono all’esterno delle università.
- La salubrità finanziaria di un giornale ormai non si valuta più dal numero di copie vendute, ma dal numero di annunci pubblicitari contenuti al suo interno. Puoi avere una tiratura nazionale mediamente alta di 47000 copie giornaliere come Il Foglio, ma non avere un briciolo di sponsor e reggerti sui finanziamenti dello stato. O contare su un assetto societario particolarmente favorevole per il fisco.
- Esistono delle formule, che molti giornali usano, dette Formule Sostenitore. Grazie a questa opzione di abbonamento chi è particolarmente affezionato ad un periodico può versare somme di denaro in una forma di crowdfunding trasparente e volontaria. Non è fanta-editoria, ma una soluzione adottata da testate come il Guardian o il Fatto Quotidiano col club dei SOCI DI FATTO.
- La pubblicità è già di per sé una forma di “costo” visivo per i lettori. Tanto è vero che molte piattaforme audio-visive, Spotify e YouTube in primis, si fanno pagare per toglierla. La stampa che richiede di essere pagata dovrebbe essere la versione Premium di un’informazione retta sulla pubblicità. Così evidentemente non è.
- La stampa gratuita, o Free Press, che dir si voglia, è il futuro. Lo attesta il fatto che fra i periodici più diffusi al mondo siano molti quelli gratuiti: Metro Uk (da non confondere con l’omonima testata svedese presente nelle nostre metropolitane), l’Evening Standard o TimeOut. In Italia sono pochissimi: Metro News o Leggo e domina una generale diffidenza dell’editoria verso questa forma di marketing. Infatti non solo rivoluzionerebbe l’editoria, ma anche il mondo della distribuzione.
- Spostandosi l’informazione sul web cala di gran lunga l’attrattiva del cartaceo, più scomodo e meno fruibile. L’obolo richiesto per leggerlo rischia di eliminare quel po’ di romanticismo che lega ancora gli amanti della carta ai loro giornali fisici.
- La pubblicità porta profitto indiretto alle aziende che sponsorizza. È dunque paradossale che il lettore debba pagare per aumentare il profitto degli inserzionisti, senza che questi gli offrano alcun servizio. Nella Free Press gli inserzionisti invece offrono all’utenza la lettura stessa.
- Il costo dei giornali, in costante aumento per via dell’inflazione e della crisi dell’editoria, favorisce quei tabloid di grande tiratura come il Sun, il Bild o, in Italia, La Settimana Pazza. I quali, venduti a pochi centesimi, diffondono perlopiù infotainment. Fra questi vi sono gli stessi che mantennero a lungo l’usanza di mettere una donna semi-nuda in terza pagina.
- I lettori via Telegram non si sottraggono al costo indiretto della pubblicità, anzi questo è maggiormente diffuso grazie al social russo. Semplicemente si rifiutano di pagare un contenuto, se questo è già pagato con un prezzo indiretto e visivo che giova a terzi. Sarebbe come pagare una canzone perché aumenti il guadagno di un grosso rivenditore di auto (Achille Lauro non ce ne voglia).
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