Ovviamente, il primo titolo è il canonico “Prince of Persia”, del 1989.
La trama è semplice ma efficace: nella Persia medievale, il sultano è via a fare la guerra, non si sa contro chi. Il suo visir, Jaffar, approfitta della situazione per provare a salire al trono, ma la figlia del sultano si oppone, non si sa come. Allora Jaffar la chiude in una torre e le da un’ora di tempo per decidere fra sposarlo o morire. In tutto ciò, il vero amore della principessa, il giocatore (anche se non si sa come si siano conosciuti), è stato rinchiuso nelle prigioni e deve scappare e fermare il visir prima che la principessa venga uccisa.
Ecco, aggiungeteci un tappeto e una lampada e avrete una cosa del genere…
Sì, diciamo che la trama non è esattamente da premio Nobel per la letteratura, ma il gioco possedeva altre bellezze tecniche che lo hanno reso una pietra miliare della video-ludica. Ad esempio, il movimento dei personaggi. Quel genio del creatore, Jordan Mechner, si avvalse di una tecnica molto particolare per ricostruire il modo di muoversi, detta “Rotoscope”. In pratica, che ha fatto? Ha fatto saltare, correre e zompettare suo fratello per ore riprendendolo con una videocamera, poi per creare l’animazione ha ricalcato i movimenti dal video. Geniale, no? Il risultato è un movimento molto fluido e realistico, soprattutto se paragonato alla grafica coeva. Date un’occhiata voi stessi:
Il gioco aveva anche altre caratteristiche che lo resero unico. Innanzitutto, il combattimento: mentre in tutti i platform si andava avanti sparando (uno su tutti, Metal Slug), qui si combatte all’arma bianca, con la spada. Ciò rende ovviamente diverso il modo di approcciarsi all’avversario e fondamentale la tempistica dei colpi.
Inoltre, la maggiore difficoltà, la sfida più grande che rese il gioco davvero leggendario, è che è in tempo reale. Abbiamo detto che la Principessa ha un’ora di tempo prima di morire. Ecco, anche il giocatore ha un’ora di tempo a disposizione. Se non ce la fa in un’ora perde comunque. Infatti, le persone che hanno finito il gioco si contano sulle dita di una mano.
Però tranquilli: era possibile inserire dei codici che permettevano di cominciare il gioco da un certo livello in poi, risparmiando così molto tempo.
Nel 1993 esce un seguito, “Prince of Persia 2: The Shadow and the Flame”, che presenta una grafica notevolmente migliorata e soprattutto una trama degna di questo nome (si scoprono le origini del protagonista, ad esempio), pur mantenendo l’impianto base del primo gioco. Rimane Jaffar come cattivo, rimane la Principessa da salvare e rimane anche il tempo reale. Però il tempo è di 75 minuti ma soprattutto viene inserita la possibilità di salvare in dieci slot, evitando così le bestemmie di milioni di giocatori.
E viene aggiunto il tappeto volante, sì.
A chiudere la trilogia arriva il titolo ignorato da tutti, prodotto per una consolle ignorata da tutti. Nel 1999 esce “Prince of Persia 3D” uscito per Sega Dreamcast e per PC. La trama diventa di nuovo assurda: si scopre che il Sultano aveva promesso in sposa sua figlia a suo nipote, il figlio di suo fratello Assan; quando vanno a trovare Assan questo si incazza a morte e uccide il Sultano mentre il figlio di Assan prende la Principessa cercando di ucciderla in una specie di macchina di ingranaggi e cose così. Così il Principe deve ancora una volta salvare sta maledetta Principessa (Peach al confronto è molto più indipendente!) e alla fine diventa Sultano. Tutto molto bello. E invece no.
Oltre al 3D si salva pochissimo: la giocabilità è praticamente inesistente (ad esempio, per raccogliere gli oggetti bisogna essere esattamente sopra di essi, altrimenti non se li prende), la AI è ridicola e soprattutto lo stealth (il Principe per lunghi tratti non dovrebbe farsi scoprire) è complicatissimo sino a livelli estremi. Per non parlare dei bug che lo affliggevano, i quali non verranno neanche risolti tutti dalla patch rilasciata qualche tempo dopo.
Si chiude così la gloriosa era del Principe di Persia, dopo “solo” dieci anni e nel disastro più totale.
Sembra la fine di tutto, ma… per fortuna non è così. Nel 2003 ci pensa la Ubisoft che, vedendo il potenziale di un Principe in 3D, prende con se Jordan Mechner come supervisore e consulente artistico e da il via alla Trilogia delle Sabbie del Tempo.
Ma questa è un’altra storia…
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