Le impronte preistoriche di White Sands riscrivono la storia

Si stanno accumulando prove concrete della presenza di ominidi nelle Americhe molto prima di quanto avessimo mai immaginato.  Un nuovo studio sta portando alla luce dettagli affascinanti sulle antiche impronte umane del White Sands National Park, nel Nuovo Messico. Analisi recenti stanno fornendo ulteriori, solide indicazioni che 23.000 anni fa, nel contesto di una profonda era glaciale, l’uomo era già presente in questi territori. Questa scoperta non è solo un dettaglio accademico, ma una vera e propria rivoluzione che sta costringendo gli archeologi a riconsiderare l’intera cronologia della presenza umana nel continente americano.

White Sands National Park, New Mexico, USA. Autore Domenico Covertini

Il grande enigma di White Sands

L’età di queste impronte perfettamente conservate, che punteggiano il paesaggio di White Sands, ha alimentato un dibattito acceso per anni. Nel 2021, uno studio iniziale ne ha annunciato la scoperta, datandole tra 21.000 e 23.000 anni fa. Tuttavia, lo scetticismo era palpabile. Una confutazione nel 2022 sollevò dubbi sull’uso dei semi di una pianta acquatica, la Ruppia cirrhosa, per la datazione al radiocarbonio. Il problema, ben noto nella scienza, è che le piante acquatiche possono incorporare carbonio, da fonti acquatiche, che è molto più antico del carbonio atmosferico, rendendo i campioni “più vecchi” di quanto non fossero in realtà. Questo può falsare i livelli di carbonio-14, una versione radioattiva dell’atomo fondamentale per la datazione.

Nel 2023 i ricercatori hanno provato nuove strade, ridatando il sito con la datazione tramite luminescenza otticamente stimolata (OSL), che rivela quando i granelli di quarzo o feldspato nelle impronte sono stati esposti l’ultima volta alla luce solare. Contemporaneamente, hanno utilizzato la datazione al radiocarbonio dell’antico polline di conifere, un modo per sfruttare il carbonio-14 senza incorrere nei problemi legati alle piante acquatiche. Sorprendentemente anche queste analisi hanno continuato a indicare un’età tra 21.000 e 23.000 anni fa. Sebbene alcuni scienziati abbiano definito questi risultati “molto convincenti”, altri cautamente sostenevano che i campioni non fossero stati prelevati dallo strato corretto.

Conferme incrociate e nuovi orizzonti

Ora, il nuovo studio, guidato da Vance Holliday, professore emerito di antropologia e geoscienze all’Università dell’Arizona, aggiunge un altro tassello cruciale a questo complesso puzzle. Holliday, che lavora a White Sands dal 2012 e aveva già contribuito allo studio originale del 2021, ha utilizzato una metodologia diversa. Questa volta, lui e i suoi colleghi hanno datato al radiocarbonio carote di fango prelevate direttamente dal sito. Il risultato? Le tracce risalgono a un periodo compreso tra 20.700 e 22.400 anni fa, una datazione che si allinea perfettamente con quelle originali.

Servizio parchi nazionali: Impronta fossile di un bradipo di Harlan, Parco nazionale White Sands, Nuovo Messico, Stati Uniti.

Con questi ultimi dati, il quadro si fa sempre più robusto. Ora abbiamo un totale di 55 campioni di fango, semi e polline, tutti datati al radiocarbonio dallo strato delle impronte, che convergono nel supportare l’età di 21.000-23.000 anni. Le antiche impronte umane sono “molto raramente conservate” in tal modo, come ha sottolineato Holliday, e avere “date su tre materiali diversi che coincidono” per stabilire la loro epoca è eccezionale. Come ha scritto lui stesso, “sarebbe una pura coincidenza avere tutte queste date che forniscono un quadro coerente ma errato”. La coerenza di questi risultati rende davvero difficile spiegare diversamente la loro antica origine.

Il paesaggio perduto e le storie incise nel fango

Questo nuovo studio non si limita a confermare una datazione, ma ci offre anche una visione più chiara di come fosse il paesaggio quando gli esseri umani vivevano lì. 23.000 anni fa, White Sands non era il deserto di gesso che conosciamo oggi. Era una vasta zona umida paludosa, ricca di vegetazione e attraversata da corsi d’acqua, situata vicino all’antico lago Otero. Questo ambiente lussureggiante era l’habitat ideale per una ricca megafauna glaciale, ovvero animali giganti ormai estinti. Non a caso, sono state trovate anche impronte di mammut e bradipi giganti, spesso adiacenti o che addirittura intersecano quelle umane, suggerendo una convivenza e un’interazione tra questi primi abitanti e i giganti preistorici.

A solitary Arctodus simus  paw print recovered from the Garton Pond Site at White Sands National Park, New Mexico USA. Autori: Andre Gentry, Christopher Michael Franco, David Bustos

I ricercatori hanno identificato non solo tracce di adulti, ma anche, e in grande numero, quelle di bambini e adolescenti. Questo suggerisce che le persone si muovevano in gruppi familiari, non solo singoli individui. Alcune sequenze di impronte mostrano percorsi ripetuti, quasi a indicare rotte abituali per la ricerca di cibo o acqua. C’è persino un particolare set di impronte che si ritiene appartenere a una donna che trasportava un bambino.

Il mistero degli artefatti mancanti 

Nonostante le prove schiaccianti, il dibattito non è del tutto concluso. Michael Waters, direttore del Center for the Study of the First Americans presso la Texas A&M University, pur riconoscendo l’interesse dei nuovi dati, rimane cauto. Ribadisce la preoccupazione che anche i sedimenti datati nel nuovo studio possano aver subito gli stessi problemi di “carbonio vecchio” delle piante acquatiche.

Inoltre, un’altra questione fondamentale che lo studio non risolve è dove si trovino i manufatti o gli insediamenti di queste popolazioni dell’era glaciale a White Sands. Holliday riconosce questa lacuna, ma suggerisce una spiegazione logica: è improbabile che cacciatori-raccoglitori nomadi, che vivevano dei loro pochi e preziosi strumenti e si trovavano lontani da fonti di ricambio, lasciassero oggetti di valore durante brevi esplorazioni della zona umida. Non si tratterebbe di un “campo di detriti” ma di un passaggio fugace.

Queste impronte di White Sands, quindi, non sono solo una scoperta archeologica; sono un portale verso un passato che si sta ancora cercando di comprendere appieno. Mettono in discussione decenni di teorie, in particolare quella che vedeva i Clovis (vissuti circa 13.000 anni fa) come i primi americani. Lentamente ma inesorabilmente, queste e altre scoperte stanno rivelando che i popoli indigeni raggiunsero le Americhe molto prima di quanto si fosse mai osato pensare. Il viaggio verso la comprensione completa delle prime migrazioni umane nelle Americhe è ancora lungo, ma White Sands è già un solido inizio.

FONTE: https://www.livescience.com/archaeology/evidence-is-building-that-people-were-in-the-americas-23-000-years-ago

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