Dimenticate le favole in cui la principessa aspetta il suo principe azzurro. Nel XIII secolo, in Mongolia, Khutulun aveva le idee chiare: chiunque volesse sposarla doveva prima batterla in un incontro di wrestling. Discendente di Gengis Khan, guerriera temuta e imbattibile lottatrice, lei ha accumulato migliaia di cavalli e umiliato una schiera di spasimanti. E quando è arrivato il momento di sposarsi… Beh, ha deciso lei.
Khutulun, la principessa mongola che sfidava i suoi pretendenti a wrestling e vinceva sempre
Così come i vichinghi non erano solo uomini, le principesse non erano solo docili e indifese. Khutulun era la figlia del potente sovrano mongolo Kaidu, ma anche una guerriera formidabile. Fin da bambina, aveva dimostrato di essere più forte e più abile di molti uomini nel tiro con l’arco, nella cavalcata e, soprattutto, nella lotta.
Crescendo, non ha mai smesso di dimostrare il suo valore, tanto che il padre preferiva lei ai suoi 14 figli maschi quando si trattava di andare in battaglia.
Marco Polo la descrisse come una donna alta, imponente e così forte da sembrare una gigante. Non si limitava a combattere al fianco del padre, ma si lanciava da sola contro le linee nemiche, afferrando uomini come un falco afferra la sua preda e riportandoli indietro.

Eppure, mentre sui campi di guerra dominava i nemici, nella vita privata si trovava a fronteggiare un altro tipo di sfida: i pretendenti. Figlia di un grande sovrano, aveva una fila infinita di uomini pronti a chiederla in moglie. Ma c’era un piccolo problema: nessuno poteva sposarla senza prima batterla in un incontro di wrestling. E chi perdeva doveva pagarle pegno in cavalli.
Khutulun ha così accumulato un vero impero di cavalli. Alcune fonti parlano di 10.000 esemplari vinti nei suoi incontri, un numero talmente alto da far invidia persino all’imperatore. Tra l’altro, cammelli e cavalli nelle steppe mongole erano una sorta di status symbol considerata la loro importanza.
La scrittrice Hannah Jewell ha descritto la situazione con una frase perfetta: “Le steppe mongole erano disseminate di frammenti di ego maschili distrutti”.

Alla fine, decise di sposarsi, ma lo fece alle sue condizioni: secondo la storiografia scelse (o le venne imposto?) un uomo che non aveva mai dovuto sfidare. Secoli dopo, la sua storia ha ispirato il racconto di Turandot, da cui nacque l’opera di Giacomo Puccini.
Certo, nella versione lirica la principessa mette alla prova i pretendenti con degli enigmi invece che con mosse di wrestling, ma il concetto resta: se vuoi la mano di una donna come Khutulun, devi dimostrare di meritarla. Un insegnamento, questo, che dovrebbe riecheggiare nella testa degli uomini anche ora: l’amore va meritato, non preteso.