Recensione: Alien Colonial Marines

Titolo: Aliens: Colonial Marines

Anno: 2013

Sviluppatore: Gearbox Software, Nerve Software, TimeGate Studios

Distributore: Sega

Piattaforme: PC, XBox360, PS3

Piattaforma testata: PC

Pensate alla saga di Alien, e in particolar modo al secondo capitolo, quello “Scontro Finale” che, spingendo al massimo sul pedale dell’azione e dell’adrenalina senza tuttavia sacrificare spaventi e spessore narrativo, risulta tuttora una delle massime vette qualitative della celeberrima serie fanta-horror, nonché una genuina fonte di libidine per qualunque amante del genere, e del buon cinema in generale.

Ci siete? ora immaginatevi cosa possa essere un sequel diretto della pellicola di Cameron sotto forma di sparatutto in soggettiva di nuova generazione, con tanto di luoghi e personaggi del film rivisitati ad hoc.
E per giunta, rispetto ai precedenti di alto profilo dei videogiochi marchiati Alien vs Predator, niente crostacei con pettinature rasta di mezzo a interferire con la parte migliore e dal maggior potenziale di brividi: dotarvi di armatura, fucile a impulsi e rilevatore di movimento, ed essere spediti in qualche angolino oscuro della galassia, dove un intero esercito di bestie aliene letali, agguerrite e dotate di fattezze disturbantemente falliche, è pronto a farvi a pezzi, o se proprio, utilizzarvi come incubatrici viventi per i loro pucciosi pargoli. Il tutto in quel contesto di irresistibile cafonaggine, cameratismo da curva sud e di “escono dalle fottute pareti!!” proprio del glorioso corpo dei Marines Coloniali degli Stati Uniti. Ok, vi siete fatti un’idea e delle aspettative?

Bene, ora Aliens: Colonial Marines vi illustrerà punto dopo punto come buttare laconicamente alle ortiche tutto quel ben d’Iddio di potenziale di cui vi ho appena narrato.

Giusto per cominciare e per individuare subito il problema di fondo, stiamo parlando di un gioco nato da una storia produttiva per cui il termine “infernale” sarebbe solo un blando eufemismo: i 7 anni passati dall’annuncio del progetto alla release ufficiale sono stati un grottesco susseguirsi di ritardi, recriminazioni tra developers e editore, spacchettamenti dello sviluppo tra uno studio e l’altro, stop più o meno lunghi alla produzione e un pò di altre cose che tendono a non giovare un granché alla qualità del prodotto finale. Di fatto, è un mezzo miracolo che nonostante tutto Colonial Marines sia infine riuscito ad approdare sugli scaffali, seppure sotto forma di un prodotto largamente incompleto e visibilmente sofferente di una genesi tanto travagliata, tant’è che l’utenza ha dovuto attendere un corposo incerottamento per avere tra le mani un gioco “solamente” mal riuscito e non una beta ai limiti di presentabilità.

Prima di tutto, Colonial Marines, fallisce in quella che dovrebbe essere la prerogativa primaria di qualunque buono sparatutto, ossia la qualità degli scontri a fuoco. Avrete a disposizione un arsenale ricco e piacevolmente personalizzabile , una moltitudine di roba a cui sparare e un sacco di ottime ragioni per farlo; un’equazione virtualmente perfetta, ma che all’atto pratico si inceppa a causa di un design atrocemente fallato, tra un’IA indegna, Xenomorfi apparentemente a prova di proiettile, mercenari Weyland-Yutani (sì, sono ancora malvagi) dalla mira ridicolmente infallibile, e un feedback delle armi generalmente pessimo.

Insomma, quanto basta per tramutare quella che dovrebbe essere una gloriosa orgia di piombo, esplosioni e brandelli multispecie come se piovesse in un’esperienza eccitante più o meno quanto compilare un modulo alle poste. Peraltro, il design approssimativo non si limita a questo, ma si estende anche alla progettazione dei livelli (con poche eccezioni, blando e dimenticabile), la struttura delle missioni (che tenta di invocare una certa varietà di situazioni, ma ottiene ben poco di realmente interessante), e molti altri dettagli piccoli o grandi. Per fare un esempio, ho eletto come mia personalissima nemesi la disposizione schizofrenica dei checkpoint: autosalvataggi ad ogni passo oppure sessioni interminabili (e puntualmente impegnative) prima di registrare i progressi, mezze misure e generale buonsenso non pervenuti.

Ma se è vero che il gameplay fa acqua da tutte le parti, il comparto narrativo risulta addirittura peggiore. Il plot è raffazzonato al massimo e tremendamente noioso (per non parlare del finale, che -senza spoilerare nulla- è l’equivalente digitale di un dito medio sparato in faccia al giocatore, con tanto di sottofondo di pernacchie e risate di scherno); la caratterizzazione dei personaggi, laddove Cameron ha costruito una buona fetta del successo del proprio film consegnando agli spettatori Marine dotati di personalità, carisma e credibilità come una vera squadra, qui non va oltre mettere in scena una galleria di fantocci monodimensionali e vagamente irritanti, condannati ad ogni passo a recitare dialoghi semplicemente al di là del bene e del male. Credetemi sulla parola, alla quarantanovesima volta nell’arco di mezz’ora che sentirete la frase “un Marine non abbandona un altro Marine”, sentirete un impulso incontrollabile di mandare tutti quanti a quel paese ed iscrivervi agli Obiettori di Coscienza Coloniali. Il fatto che siano stati riutilizzati setting e personaggi della saga cinematografica (addirittura modificando la continuity ufficiale), non può, in questo caso, che essere un’aggravante. Per dire, chiamare in causa lo Space Jockey e relativa nave, e riuscire a rendere il tutto così deprimentemente anticlimatico, è qualcosa che nessun nerd al mondo potrebbe e dovrebbe essere disposto a perdonare.

Infine, il comparto tecnico. In quello che ormai si sta delineando come un impietoso tiro a segno contro la Croce rossa armati di bazooka, neppure il fattore puramente estetico riesce a ridare dignità a un gioco ormai irrimediabilmente lanciato a tutta velocità sulla strada del sonoro flop: la veste grafica è assolutamente mediocre, con tanto di vistosi problemi di framerate, il sonoro, a fronte di uno score originale effettivamente valido, è contrassegnato da un design basilare e insipido, incapace di incanalare pathos o tensione, lasciando che l’esperienza complessiva sia spaventosa più o meno quanto un cesto pieno di batuffolosi gattini.

Ma, alla fine, volete sapere la cosa peggiore riguardo ad Aliens: Colonial Marines? Poteva DAVVERO essere un buon gioco. Nonostante tutto, i problemi nello sviluppo, i fantatrilioni di difetti e quant’altro, c’è del potenziale che fa capolino qua e là. Magari sono dettagli, come il piacevole sistema di livellamento e di customizzazione dell’arsenale, magari sono i setting che, nonostante tutto, mantengono il loro fascino, magari è quel comparto multiplayer che in qualche maniera riesce ad essere sorprendentemente divertente (certo, chiudendo un’occhio sulle già note lacune della giocabilità e fino al momento in cui il lag prende con prepotenza il sopravvento); tutte cose che non riescono a nobilitare in alcun modo un bilancio desolantemente negativo, e che, anzi, non fanno altro che amplificare le recriminazioni per una grande occasione mancata. Il mio consiglio? DVD/Blu Ray di Scontro Finale, impugnate un pad e fate finta che Colonial Marines sia quello. Salverete la vostra innocenza.

 

Voto: 5/10

 

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Andrea Bruni

Vive praticamente di notte, ha un senso dell’umorismo estremamente malato, un cattivo gusto da annali, coltiva attivamente un senso critico/estetico che pure Ed Wood commenterebbe con un “Ma no, dai”, rifiuta con sdegno qualunque attività intellettuale che non sia coadiuvata da una bottiglia di birra dozzinale e ama scrivere di sé in terza persona senza una vera ragione. La cosa peggiore? Ne è perfettamente consapevole. Semplicemente, invece che affrontare e porre rimedio alle proprie cattive abitudini, questo individuo ha scelto di renderle socialmente accettabili, spacciandosi per sedicente esperto di horror.Pantomima riuscita al punto di convincere lo staff del Bosone di reclutarlo e affidargli una colonna ad hoc. Fino all’inevitabile momento in cui si accorgeranno dell’atroce errore commesso, il buon Nex sarà il vostro riferimento sulla roba spaventosa e/o truculenta in ogni sua forma.
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