Riparare con l’oro. Il Kintsugi da tecnica di restauro a filosofia di vita

Esiste una tecnica di restauro di orgine giapponese chiamata Kintsugi, che letteralmente significa “riparare con l’oro”. Sembra che il kintsugi abbia origini piuttosto antiche, si parla addirittura del XV secolo.

Questa tecnica è usata soprattutto nell’arte della ceramica: oro o argento liquido sono utilizzati per restaurare gli oggetti, solitamente vasellame, usando i metalli per creare delle saldature. Si creano così prodotti preziosi sia dal punto di vista artistico che economico, portando a nuova vita oggetti apparentemente rotti. Attraverso le linee di frattura, la ceramica si rinnova. Ogni pezzo è unico, per via della casualità e delle irregolarità delle crepe che si formano. Sembra un po’ un procedimento alchemico, anche se in questo caso l’oro non viene creato, ma usato per ricreare qualcosa.

Non sembra anche a voi che il kintsugi rappresenti una metafora? Qualcosa di rotto, apparentemente perduto, può non solo essere aggiustato ma addirittura rivivere proprio grazie alle sue crepe. Un po’ come l’essere umano, che se riesce a fare tesoro delle proprie ferite, è capace rinascere più prezioso di prima.

La “resilienza” è troppo inflazionata

Lo so, ragà: la parola “resilienza” non si può più sentire. Ce la siamo tatuata, la abbiamo urlata, la abbiamo scritta sui banchi, e il nostro terapista di invita sempre a praticarla, quindi ok, basta. Prometto che dopo questo titolo non la userò più, ma vi parlerò di un altro termine, concettualmente collegato ad essa (che poi scusate, ma la “resilienza” non era una proprietà fisica? Vabbè).

L’idea che dall’imperfezione possa nascere qualcosa di bello sembra una grande lezione, che in un mondo dove regna la transitorietà ci colpisce a pieno (quante volte avete detto “questa cosa costa meno a ricomprarla che ad aggiustarla?” E quante professioni sono scomparse, seguendo questa logica?). E’ ancora una volta di matrice giapponese il concetto del “wabi-sabi”, una visione del mondo che sostiene che la bellezza sia proprio nelle imperfezioni.

Recita un verso di Anthem, poetica canzone di Leonard Cohen:

There is a crack, a crack in everything. That’s how the light gets in”.

Ho letto questa strofa su una rivista di design durante il primo lockdown: nella pagina bianca, la frase della canzone veniva associata ad una ciotola azzurra, riparata con la tecnica del Kintsugi. Non serve dirvi che Anthem fa parte ora della mia playlist.

Leggi anche: 5 cose che non sapevi sul Giappone

Giulia Faggioli

Aligiu: 50% romanticismo, 50% baggianate. Ci sono poche cose da sapere su di me: amo il caffè, i gatti, i libri e gli anni Ottanta. Il mio cuore è verde come l’Irlanda, e nero come la canzone dei Punkreas. Per essere miei amici, rispettate queste semplici regole: la mattina non si parla prima di un’ora dal risveglio, e soprattutto, non fate mai spoiler!
Pulsante per tornare all'inizio