La psicologia come disciplina è un’area che mi ha sempre affascinato. Il tentativo di spiegare meccanismi nascosti agli occhi ma non alla mente è davvero qualcosa di assurdo.
Mi sono sempre chiesto quanto i termini persona-individuo e psicologia fossero vicini. Uno, a pensarla così, direbbe: “Beh, ma la psicologia studia la persona”. Sì, sotto un certo punto di vista è vero ma bisogna stare attenti.
Un breve cenno storico su Rogers.
Cresciuto in un contesto religioso ed etico forte, Carl Rogers si è spostato dalla teologia alla psicopedagogia, influenzato da viaggi e incontri significativi durante la sua formazione. Il suo dottorato presso la Columbia University e l’influenza di figure come William H. Kilpatrick hanno gettato le basi per un approccio rivoluzionario in psicologia, mettendo al centro l’importanza dell’esperienza individuale nell’apprendimento e nello sviluppo personale.
Piccola parentesi su William H. Kilpatrick: era un educatore e filosofo americano che, come Rogers, puntava molto sull’individualità e questo si nota nel suo “Metodo dei progetti”. Questo si basa sull’idea che gli studenti imparano meglio facendo cose concrete e significative per loro. Lavorano su progetti che sono collegati alla vita reale e che li interessano personalmente: potrebbe essere qualcosa come piantare un giardino, costruire un modello o organizzare un evento. L’insegnante non è più solo un conferenziere che trasmette informazioni, ma diventa un guida e un facilitatore che aiuta gli studenti a esplorare, scoprire e imparare.
Quando gli studenti lavorano su progetti che trovano interessanti e rilevanti, sono più motivati a imparare.
Ma ora torniamo a Carl Rogers.
La visione umanistica di Rogers ha trasformato la pratica terapeutica, enfatizzando concetti chiave quali empatia, accettazione incondizionata e autenticità del terapeuta. Questo approccio, ben descritto nel suo lavoro fondamentale “On Becoming a Person” (1995), pone il cliente in un ambiente di sostegno e non giudicante, facendo di lui il fulcro del processo terapeutico. L’introduzione del termine “cliente” al posto di “paziente” riflette questa filosofia, sottolineando l’autonomia e l’autodeterminazione dell’individuo nel processo terapeutico.
Qui uno dei punti focali della sua idea.
L’approccio centrato sul cliente di Rogers è stato influenzato e ha influenzato a sua volta il panorama della ricerca e della pratica clinica, dimostrandosi efficace in contesti vari, dalla terapia di gruppo alla consulenza educativa. Questa scelta terminologica enfatizza l’autonomia e l’autodeterminazione dell’individuo nel processo terapeutico, contrapponendosi al ruolo passivo tradizionalmente associato al “paziente”. I principi di auto-attualizzazione, crescita personale e aderenza organismo-ambiente sono diventati pilastri della sua visione umanistica, spostando l’enfasi dai difetti e dalle patologie alla crescita e al potenziale umano.
Nonostante le critiche ricevute per una visione talvolta considerata troppo ottimistica dell’umanità o per la mancanza di struttura nell’approccio terapeutico, l’impatto di Rogers nel campo della psicologia rimane inestimabile, continuando a ispirare nuovi sviluppi e approcci nel campo, tra cui la mindfulness e la terapia focalizzata sulla compassione.
Nello specifico, c’era una procedura ben precisa nel trattamento del cliente che prevedeva tre punti:
- approccio non-direttivo: la dinamica tra il terapeuta e il cliente si basa su un rapporto di eguale valore, dove il terapeuta stimola il cliente a scoprire e sfruttare le proprie capacità interne per risolvere i problemi che affronta;
- comprensione empatica: per ottenere risultati efficaci nella terapia, è fondamentale che il terapeuta si immerga nell’esperienza del cliente, cercando di comprendere il mondo attraverso la sua prospettiva e mettendo da parte i propri preconcetti;
- accoglienza incondizionata: Il terapeuta adotta un atteggiamento di completa accettazione verso i pensieri e i comportamenti del cliente. Questo comporta un ascolto attivo e privo di giudizi, creando uno spazio sicuro e aperto per il cliente.
Ma come dare torto ai detrattori. Vi siete guardati intorno? Cosa c’è di umano in quello che vediamo tutti i giorni?
Approfondendo il tema della realizzazione di sé, il suo lavoro esplora come ci sia un periodo nella vita umana, specificamente l’infanzia e la tarda fanciullezza, in cui il locus del processo di valutazione è chiaramente interno all’individuo.
Tuttavia, questo processo si arresta quando iniziano ad introiettarsi valori esterni legati alla ricerca di amore e approvazione altrui, spostando il locus delle scelte e delle valutazioni dall’interno all’esterno. Questo fenomeno porta a un allontanamento dall’autenticità e dalla realizzazione di sé, concetti che trovano riscontro e dialogo con le riflessioni di filosofi come Aristotele, Schopenhauer e l’italiano S. Natoli.
Una doverosa disamina sulla realizzazione di sé e le influenze esterne. Provo ad essere schematico così da tracciare una sorta di linea cronologica:
- il primo passo è l’introduzione dei valori esterni: man mano che gli individui crescono, iniziano a introiettare valori, aspettative e norme dalla società, dai genitori, dagli insegnanti e dai coetanei. Questi valori esterni possono includere idee su successo, comportamento, aspetto e moralità. L’introduzione di questi valori può portare a un conflitto interno tra ciò che l’individuo sente veramente e ciò che viene aspettato o premiato dalla società;
- il secondo passo è la ricerca dell’approvazione e dell’amore: una forza potente dietro l’adozione di valori esterni è il desiderio di amore, accettazione e approvazione da parte degli altri. Gli individui possono iniziare a modificare o reprimere le proprie autentiche emozioni, desideri e pensieri per conformarsi alle aspettative esterne, portando a un locus di valutazione che si sposta dall’interno all’esterno;
- il terzo passo è l’allontanamento dall’autenticità e la realizzazione di sé: questo cambio può portare a un senso di alienazione da se stessi, dove gli individui perdono il contatto con il loro vero sé e la loro capacità di autorealizzazione. La realizzazione di sé implica un processo di crescita e sviluppo in cui un individuo si sforza di realizzare il proprio potenziale unico e diventare la persona che è realmente. Quando il locus di valutazione è esterno, questo processo può essere inibito o distorto.
Ora la domanda da un miliardo: nessuno quindi può essere sé stesso?
Secondo la visione di Carl Rogers, non è che nessuno possa essere davvero sé stesso, ma piuttosto che molte persone possono perdere il contatto con il loro vero sé a causa delle pressioni esterne.
Immagina di essere come un albero che cresce.
Se sei libero di crescere in un ambiente che ti sostiene, probabilmente crescerai forte e sano, seguendo la tua naturale direzione. Ma se ci sono ostacoli, come rami di altri alberi che bloccano la luce o persone che cercano di modellarti in modi che non si adattano, potresti finire per crescere in modi che non sono veri per te.
Nella vita reale, questi ostacoli possono essere le aspettative di altre persone, le pressioni sociali o culturali, o anche le nostre idee su ciò che dovremmo essere, piuttosto che su ciò che siamo veramente. Queste pressioni possono farci sentire alienati dal nostro vero io, perché iniziamo a vivere in modi che cercano di soddisfare gli altri o ad adattarci a ciò che pensiamo sia giusto, invece di seguire i nostri veri sentimenti e desideri.
Tuttavia, secondo Rogers, non è una condizione permanente o inevitabile. Con la giusta guida e un ambiente di supporto, le persone possono riconnettersi con il loro vero sé.
La terapia centrata sulla persona, ad esempio, mira a creare uno spazio sicuro e accettante dove gli individui possono esplorare e riconoscere i propri pensieri e sentimenti autentici, iniziando così il percorso di ritorno verso il proprio vero sé e la realizzazione di sé.
“On Becoming a Person” si addentra poi in una riflessione più ampia sul benessere umano, citando la tripartizione aristotelica dei beni della vita umana ampliata da Schopenhauer e l’importanza di “ciò che uno è” rispetto a “ciò che uno ha” o “ciò che uno rappresenta“. Questa distinzione è cruciale per comprendere l’importanza del lavoro su sé stessi e l’autorealizzazione nell’ottica di una vita soddisfacente e autentica.
La terapia centrata sul cliente di Rogers, quindi, si propone come una risposta a questa problematica, mirando a ristabilire il locus di valutazione interno e a promuovere un’autorealizzazione guidata dall’interno dell’individuo. Attraverso un consapevole “ripiegamento su di sé” e un ristabilimento del contatto con la propria esperienza interiore, la terapia rogersiana mira a ricostruire un’identità autentica e pienamente realizzata, liberando le potenzialità individuali e promuovendo un benessere psicologico duraturo.
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