Quindici ritratti femminili a fumetti di donne che hanno trovato una voce diversa dal coro. Sono le storie raccontate nella graphic novel edita di Petricelli e Riccardi edita da Sinnos: Cattive ragazze. Quindici storie di donne audaci e creative.
Il respiro di cui gode l’opera credo si intuisce già dal titolo, Cattive ragazze. Ma “cattive” per chi? Il nome sembra prendere in prestito la lente di un paradigma assai stereotipato, per cui una donna fuori dal coro, è una donna di poco conto. Quanto gli aggettivi utilizzati nel sottotitolo, “audaci” e “creative”. introducono una frattura . Si mette in chiaro che stiamo per affrontare un tema culturalmente importante, e che le donne saranno delineate secondo un punto di vista attivo, quello di protagoniste.
Cosa le rende tali? Il coraggio, ma anche l’inventiva.
Si tratta di un libro che, oltre ad essere piacevolmente scritto e disegnato, ha anche un profondo valore culturale. Intanto, perché ha un target globale e trasversale. Racconta una storia che parla a tutte e tutti, più e meno piccoli.
Lo stile immediato e schematico tipico del fumetto in questo caso è molto ben utilizzato per parlare di concetti complessi. I temi affrontati infatti sono tanti: guerra, scienza, politica, Resistenza, cinema; tutti declinati attraverso il linguaggio del fumetto. Le pagine illustrate sono sintetiche, ma delineano i tratti culminanti delle vite delle protagoniste. Alle singole storie viene fatta precedere una tavola con il nome ed il ritratto del personaggio di cui si sta per parlare, con una breve spiegazione.
Cattive ragazze è un inno autodeterminazione, non solo delle donne, ma di ogni individuo (non ci aiuta la lingua in questo caso; con “individuo” ci riferiamo qui ad una entità priva di genere, tutta umana).
Donne e uomini
In questo libro con protagoniste le donne, si parla anche di uomini. Figure che sanno essere compagni e non stereotipi patriarcali: il marito di Alfonsina, il padre di Franca e quello di Malala, il compagno di Onorina…
“Inventrici di se stesse, rivoluzionarie, inviate speciali, scienziate, cicliste, registe. […] E ci sono stati uomini che non hanno avuto paura di amarle, queste donne libere e per alcuni un po’ stravaganti. E probabilmente sono stati uomini felici, perché si sa, se non ne hai paura, la libertà è contagiosa”.
Cit. dall’Introduzione di Cecilia D’Elia
Credo che il valore aggiunto del libro sia la sua ispirazione etica e psicologica. Le Cattive ragazze sembrano dire: “Ehi! Siamo le tue sorelle, figlie, amiche, siamo le tue vicine di casa, siamo te. Se ce l’abbiamo fatta noi, puoi farcela anche tu”. Non parla della fatica dell’ essere donna, o del privilegio di essere donna, ma dell’orgoglio di essere umani.
Queste donne comuni, nelle quali è facile identificarsi, sono accomunate da un filo rosso: hanno saputo essere fedeli a se stesse. E proprio in questa caratteristica di potente interiorità si trova una leva per scalzare qualche stereotipo di genere, di cui onestamente non abbiamo più voglia di sentir parlare.
Non solo l’8 marzo, ma ogni giorno.
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