Ogni volta che se ne verifica uno, seguono sempre notizie di disastri, morti, feriti, dispersi, sfollati e quant’altro le cause del terremoto si portano dietro; eppure ci ricorda che viviamo su un pianeta attivo – che anche per questo può sostenere la vita.
Anche se ogni qual volta che si presentano, i sismi fanno molti danni a cose e persone, hanno avuto in passato, ed hanno tutt’ora, anche una grande utilità nello studio della struttura interna del nostro pianeta; inoltre ci sono zone in cui si verificano con una certa periodicità ed altre in cui non ne accadono mai.
Vista dunque la loro pericolosità, la loro utilità e la loro “strana” distribuzione nel mondo, cerchiamo di farci delle idee chiare su cosa sono i terremoti, come si verificano e cosa possiamo fare in merito.
Terremoti, questi noti sconosciuti
Wikipedia ci dice che “i terremoti (dal latino: terrae motus, che vuol dire “movimento della terra”), detti anche sismi o scosse telluriche (dal latino Tellus, dea romana della Terra), sono vibrazioni o assestamenti improvvisi della crosta terrestre, provocati dallo spostamento improvviso di una massa rocciosa nel sottosuolo.” la domanda successiva da porsi è: cosa genera questi spostamenti?
Per spiegarlo potremmo tornare indietro nel tempo a circa 250 milioni di anni fa, ai tempi di Pangea, o ancora prima, a ben 750 milioni di anni fa quando c’era Rodinia, e raccontare passo dopo passo di come si è giunti all’attuale disposizione delle terre emerse e a come anche i terremoti vi abbiano contribuito, ma ne uscirebbe fuori qualcosa di lungo e tedioso, perciò riassumeremo il tutto agli elementi essenziali, senza privarli di passaggi necessari.
La teoria scientifica che meglio giustifica i movimenti tellurici si chiama “tettonica delle placche”, che descrive i movimenti della crosta terrestre tenendo conto del moto del mantello liquido sotto di essa che ha come risultato la suddivisione della crosta stessa in grandi pezzi detti zolle o placche che, scivolando come zattere sul mantello secondo certe meccaniche, si scontrano o si allontanano tra loro o scorrono l’una a ridosso dell’altra.
Come sappiamo sin dalle scuole medie, le placche maggiori sono:
- Placca antartica
- Placca Sudamericana
- Placca Africana
- Placca Indo-australiana
- Placca Pacifica
- Placca Nordamericana
- Placca Euroasiatica
Ciascuna di queste zone è suddivisa in placche minori, a loro volta divise in micro-placche, per poter spiegare e monitorare le cause del terremoto e le attività sismiche e geologiche locali.
Queste placche risultano tra di loro ben incastrate ma sono come pezzi di un guscio solido attaccati ad un nucleo liquido che, in virtù di temperature elevate e dei moti convettivi e forze di pressione che conseguentemente vengono a generarsi, sono spinti a muoversi lì dove è possibile, ossia i punti di congiunzione, per poter dar sfogo all’energia che si accumula sotto di loro; come già detto, per ovviare a questo accumulo si possono creare aperture sulla crosta che lasciano passare magma e che quindi inducono la placca relativa a spingere contro un’altra e a scorrere tra altre due, e questi moti ingenerano sismi nei punti in cui si verificano; altro modo di attenuare l’energia in eccesso è il vulcanismo, ossia la formazione, in punti particolari di queste placche, non necessariamente prossimi alle “faglie” (il nome tecnico delle linee di congiunzione delle zolle) di “valvole di sfogo” che periodicamente si attivano: i vulcani appunto; anche all’attività di questi sono legati fenomeni di natura sismica, proprio perché anch’essi sono una manifestazione diversa dello stesso fenomeno.
Come menzionato prima, i terremoti o sismi sono sostanzialmente onde meccaniche che attraversano la crosta terrestre, e possedendo una loro energia, possono anche causare delle variazioni localizzate all’ambiente per dissiparla.
Gli studiosi hanno osservato che i sismi si propagano in effetti come fenomeni ondulatori, generando diverse tipologie di onde contemporaneamente che si distinguono tre tipi:
Onde di compressione o longitudinali (P): Le onde longitudinali fanno oscillare le particelle della roccia nella stessa direzione di propagazione dell’onda (onde elastiche). Esse generano quindi “compressioni” e “rarefazioni” successive nel materiale in cui si propagano. La velocità di propagazione dipende dalle caratteristiche elastiche del materiale e dalla sua densità; in genere però viaggiano a una velocità compresa tra i 4 e gli 8 km/s. Poiché le onde P si propagano più rapidamente, sono anche le prime (P = Primarie) a raggiungere i sismometri, e quindi ad essere registrate dai sismografi. Queste onde sismiche attraversano longitudinalmente tutti i tipi di materia: solidi, liquidi e gas.
Onde di taglio o trasversali (S): Le onde “secondarie” (S) si propagano solo nei solidi perpendicolarmente alla loro direzione di propagazione (sono perciò onde di taglio). Esse sono più lente delle onde P, viaggiando nella crosta terrestre con una velocità fra 2 e 4 km/s. Le onde S non possono propagarsi attraverso i fluidi e i gas perché questi non oppongono resistenza al taglio. A differenza delle onde P le onde S non causano variazioni di volume.
Onde superficiali (R e L): Le onde superficiali, a differenza di ciò che si potrebbe pensare, non si manifestano nell’epicentro, ma solo ad una certa distanza da questo. Sono il frutto del combinarsi delle onde P e delle onde S, e sono perciò molto complesse. Le onde superficiali sono quelle che provocano i maggiori danni. Tra queste, le onde di Rayleigh, dette anche onde R, muovono le particelle secondo orbite ellittiche in un piano verticale lungo la direzione di propagazione, come avviene per le onde in acqua. Le onde di Love invece, dette anche onde L, muovono le particelle trasversalmente alla direzione di propagazione (come le onde S), ma solo sul piano orizzontale.
Terremoti… Fatti a scale
In genere i terremoti, in virtù dell’energia ad essi associata, possono causare gravi distruzioni e alte perdite di vite umane attraverso una serie di agenti distruttivi, il principale dei quali è il movimento violento del terreno con conseguente sollecitazione delle strutture edilizie in posa (edifici, ponti ecc.), accompagnato eventualmente anche da altri effetti secondari quali inondazioni (ad esempio cedimento di dighe), cedimenti del terreno (frane, smottamenti o liquefazione), incendi o fuoriuscite di materiali pericolosi; se il sisma avviene sotto la superficie oceanica o marina o nei pressi della linea costiera può generare maremoti o tsunami. In ogni terremoto uno o più di questi agenti possono dunque concorrere a causare ulteriori gravi danni e vittime. Per questo motivo si è cercato di comprendere bene le cause del terremoto attraverso questo fenomeno complesso e sono stati trovati modi per misurarlo e monitorarlo, mentre ancora si cerca di individuare un metodo che ci permetta di prevederli con più esattezza e accuratezza possibile.
Per farci un’idea della portata di un sisma esistono delle scale di misurazione, correlate a due diverse caratteristiche dei terremoti; una è la scala Mercalli, più correttamente scala Mercalli-Cancani-Sieberg (scala MCS), che misura l’intensità di un terremoto mediante gli effetti distruttivi che esso produce sulla superficie terrestre su persone, cose e manufatti. Per capire come funziona si fa l’esempio classico del terremoto di altissima magnitudo che però avviene in mezzo al deserto, dove non ci sono costruzioni e che potrà avere intensità minore (quindi un grado Mercalli inferiore) rispetto ad un altro, di magnitudo inferiore, che però avviene in una zona rurale densamente abitata, dove le costruzioni non sono antisismiche, e che quindi può recare ingenti danni.
Un’altra è la scala Richter che viene usata per quantificare l’energia sprigionata dal fenomeno sismico su base puramente strumentale, senza perciò dipendere da manifestazioni locali come danni strutturali, cedimenti geologici o esperienze individuali. Questa scala si basa su valori logaritmici a base 10, il che vuol dire che la differenza un solo grado su questa scala, implica una variazione di potenza notevole, ma di base resta, per come fu concepita, una misura di confronto tra la grandezza relativa di due eventi sismici e non una stima della reale grandezza dei terremoti.
Infine esiste la scala di magnitudo del momento sismico (scala MMS), introdotta negli anni settanta come ampliamento di quella Richter, della quale mantiene la gradazione, ma basata su alcune caratteristiche geologiche della zona in cui si è verificato il sisma come l’area di faglia, la dislocazione e la resistenza delle rocce; si possono avere così misurazioni più attendibili.
Ma le scale di misura sarebbero inutili senza strumenti che ne permettano l’uso; per questo esistono in determinate zone ritenute a rischio, delle stazioni sismiche la cui strumentazione è atta a monitorare l’attività sismica dell’area in cui si trovano; tra gli strumenti standard vi è il principe delle misurazioni telluriche, il sismografo, il cui primo esemplare sembra risalire addirittura al 132 d.C. per opera di Zhang Heng il quale, comprendendo evidentemente la natura oscillatoria dei sismi, lo costrui in tal modo: all’interno di un’anfora, stava un pendolo che, se messo in oscillazione da una scossa sismica, urtava alcune levette, otto per la precisione, disposte tutto intorno all’anfora, ed ognuna di esse era collegata alla riproduzione di un piccolo drago; se urtata, ne apriva la bocca, facendo cadere la pallina contenuta in un recipiente sottostante. La pallina, cadendo, faceva un rumore metallico, che fungeva da allarme. E di fatti questa era la sua funzione principale, dato che non poteva fornire dati in merito ad intensità o durata, ad esempio. Il primo strumento per la registrazione dei fenomeni e le cause del terremoto in era moderna fu costruito nel 1855 dal fisico italiano Luigi Palmieri che lo chiamò appunto “sismografo” (cioè strumento per registrare i terremoti, dalle parole greche che significano «scrivere» e «scossa»).
L’invenzione di Palmieri consisteva in un tubo orizzontale ripiegato verso l’alto agli estremi e riempito parzialmente di mercurio: quando il terreno subiva una scossa, il mercurio si spostava da una parte all’altra del tubo. Naturalmente lo strumento reagiva ai terremoti, ma anche a qualsiasi altro genere di vibrazione, comprese quelle provocate dal passaggio di un carro nelle vicinanze. Un congegno molto più utile, da cui sono derivati tutti quelli successivi, fu costruito nel 1880 da un ingegnere inglese, John Milne.
Nella sua forma più semplice, il sismografo di Milne consiste in una grossa massa sospesa a una molla relativamente delicata, a sua volta connessa saldamente, tramite un supporto, al fondo roccioso. Quando la terra si muove, la massa sospesa resta ferma a causa dell’inerzia, mentre la molla attaccata al sostrato roccioso si tende o si contrae leggermente con il moto terrestre. Tale vibrazione viene registrata mediante una penna che, attaccata alla massa sospesa, scrive su un foglio annerito con nerofumo, avvolto attorno a un tamburo che ruota lentamente. In realtà le masse sospese sono due: una è orientata in modo da registrare le onde sismiche che si spostano nella direzione nord-sud e l’altra quelle che si spostano nella direzione est-ovest. Le vibrazioni ordinarie, quelle che non hanno origine nel sostrato roccioso, non esercitano alcuna azione sul sismografo. I moderni sismografi registrano i dati sia su carta che in modo elettronico, e, insieme ad altri dispositivi presenti nelle stazioni sismologiche, tipo amplificatori e filtri per il condizionamento e l’isolamento dei segnali di interesse, o ancora un GPS per il rilevamento dell’ora esatta (indispensabile) e della posizione della stazione, con cui interagiscono, sono in grado di fornirci un insieme di dati molto dettagliati.
Le Cause del Terremoto: tra prevedibilità e prevenzione
Un discorso a parte merita la prevedibilità di tali eventi.
Infatti, nonostante si tratti di fenomeni semplici dal punto di vista concettuale (sono, in buona sostanza, solo onde meccaniche che si propagano in un mezzo materiale, e perciò si tratta di eventi ben descritti dal punto di vista fisico), non disponiamo ancora di conoscenze e tecnologie adeguate per poter determinare con certezza il loro prossimo verificarsi. Questo certo non vuol dire che non siamo in grado di farci un’idea di un prossimo terremoto, dato che a questo si accompagnano sempre altri avvenimenti collaterali che potrebbero essere interpretati come “premonitori”, si tratta di fenomeni naturali insoliti, detti appunto precursori sismici, come: lampi o bagliori (luci telluriche); variazioni improvvise del campo magnetico, elettrico o della radioattività locale (emissione di radon); interferenze nelle comunicazioni radio; nervosismo degli animali; variazione del livello delle falde o delle acque costiere; attività vulcanica.
Il problema è che questi non sono segni univoci o caratteristici delle cause del terremoto e quindi sono stati solo in parte accettati e confermati dalla scienza che è giunta alla spiegazione di ognuna di esse, anche se, in mancanza di consenso unanime, non costituiscono di fatto misure effettivamente riconosciute e adottate sul fronte della previsione. Che dire delle serie di scosse che a volte precedono i grandi terremoti? Può essere una possibile soluzione? La risposta purtroppo è no. Anche il monitoraggio dell’eventuale sciame sismico prima di un “main shock” (il sisma principale) spesso non sembra portare a risultati concreti in termini di previsione, in quanto la stragrande maggioranza degli sciami sismici evolvono senza produrre catastrofi ovvero dissipandosi più o meno lentamente nel tempo.
Dunque, allo stato attuale della ricerca sismologica i risultati più concreti per la previsione dei terremoti si hanno per via statistica nel lungo periodo, ossia consultando mappe di pericolosità che tengono conto dei tempi di ritorno di un sisma in un dato territorio, cioè calcolandone la probabilità di occorrenza.
Va sottolineato, tuttavia, che l’intervallo di tempo in cui si ritiene probabile il verificarsi di un sisma è piuttosto esteso, anche decine di anni, e questo rende vano ogni tentativo ragionevole di prevenzione tramite evacuazione delle popolazioni.
Dato che si conoscono bene i terremoti, ma non si possono prevedere, non si può far altro che prevenirne gli eventuali effetti; è ragionevole, e fare diversamente è come andare in guerra coprendosi solo una parte del corpo, anziché bardarsi di tutto punto, solo perché riteniamo che il nemico ci possa colpire solo in testa o al petto o alle gambe… di fatti le tute militari hanno un sottile sostrato in Kevlar che fornisce un minimo di protezione anche da solo (sono definite infatti anticheggia), ma ovviamente non è idoneo a sopportare degli spari, per cui i militari indossano tutta una serie di protezioni apposite. Come si applica questo ai terremoti? La risposta è semplice: prevenzione!
Come è stato detto, dei terremoti sappiamo tutto tranne che prevederli; sappiamo come si originano, come si propagano, sappiamo addirittura quanto possano essere “forti”, ma soprattutto, sappiamo dove hanno maggiore possibilità di verificarsi; conoscendo queste cose importanti, sembra naturale definire il passo successivo: adottare una mentalità adeguata. Si tratta di una vera e propria educazione ad affrontare i disastri naturali che abbraccia le attività dei cittadini così come quelle dei governanti; significa che il paese consapevole della sua situazione impiega ogni sua forza, politica, economica, sociale, per far sì che ogni volta che qualcosa di così terribile si verifichi, la situazione complessiva sia di volta in volta meno preoccupante e catastrofica.
Il Giappone e gli stati della costa occidentale degli USA, zone del mondo, sicuramente sviluppate, ma in cui terremoti e altre calamità naturali si verificano con maggior frequenza, hanno fatto proprio questo modo di pensare e sia normative e leggi che strutture e comportamenti, sono mirati a prevenire qualsivoglia sorta di danno a persone e cose, ed ovviamente sono anche ben preparati per poter prontamente intervenire negli istanti immediatamente successivi al verificarsi di tali eventi.
Giusto per fare un esempio:
In Giappone le esercitazioni di evacuazione in caso di terremoti, tsunami o quant’altro, sono obbligatorie e periodiche, e sono programmate non solo in seno agli enti pubblici ma anche uffici, industrie ed altri enti privati sono tenuti ad organizzarle; va detto che il governo nipponico investe periodicamente nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni antisismiche e fornisce fondi atti alla ricostruzione di aree danneggiate e alla realizzazione di strutture più moderne capaci di alleviare le conseguenze dei disastri naturali. Infine, il Giappone ha investito molto sulle attrezzature scientifiche e le infrastrutture tecnologiche necessarie a monitorare i movimenti della terra ed elaborare tempestivamente i dati per capire le cause del terremoto. In caso di forti scosse, i telefonini trillano immediatamente e forniscono informazioni aggiornate.
Da noi la situazione è differente, non tanto dal lato sismico, certo i giapponesi vivono vicino ad uno dei punti più “caldi”, dal punto di vista sismico, del pianeta, mentre noi siamo in una zona sì attiva ma non “calda” come quella del Giappone.
Eppure, se l’ultimo evento sismico non ha fatto vittime, è stato solo per puro caso. Perché nel paese del Sol Levante è normale che un terremoto di magnitudo 8 faccia 50/100 vittime, mentre da noi uno di magnitudo 4 rischia di generare un’ecatombe? In realtà abbiamo già fatto considerazioni simili in occasione della ricorrenza di un altro evento analogo a cui dedicammo un articolo. Ma viene spontaneo chiedersi: se stiamo qua ad argomentare ancora su quanto sia pericoloso il nostro paese, su quanto debba fare la politica, la società e le varie forze che ci si sente di tirare in ballo, è veramente cambiato qualcosa? Abbiamo davvero imparato dagli eventi passati e per essere pronti a rimediare, o “col tempo, tutti i ricordi diventano belli…”?
Dovremmo dunque considerare che i grandi cambiamenti iniziano da piccole scelte diverse, piccole azioni che ogni piccolo individuo determina di mettere in pratica. Quindi facciamo in modo di essere informati sui modi e i tempi necessari per affrontare queste catastrofi, e ovviamente anche la politica e le forze sociali devono essere parimenti pronti e preparati ad intervenire, e c’è da dire comunque che in questo ambito siamo competitivi. Non ci resta che migliorare laddove siamo più carenti, ma la spinta a farlo deve venire da tutti noi, altrimenti al prossimo sisma leggeremo ancora articoli come questo sulle cause del terremoto.
Fonti:
Wikipedia, l’enciclopedia libera per i dati tecnici ed alcune immagini
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