Si chiama Event Horizon, ma non è una gigantesca nave interstellare sospinta da un motore a gravitazione, come quella del film “Punto di non ritorno (Event Horizon, appunto)” , si tratta bensì di un progetto molto interessante il cui ardito compito è ottenere maggiori informazioni in merito al centro della nostra galassia, la Via Lattea. «Come?» vi chiederete; ebbene questo sarà il fulcro di questo articolo.
Senza ulteriore indugio, dunque, andiamo a vedere cos’è e cosa si propone questo Event Horizon.
Event Horizon: cos’é?
Nella pellicola menzionata in precedenza, la nave Event Horizon era decisamente all’avanguardia per i suoi tempi, potendo viaggiare nel cosmo incurvando lo spazio-tempo grazie ad un macchinario capace di generare e mantenere una singolarità di origine quantistica che le permetteva di “muoversi” attraverso il cosmo in breve tempo; nella realtà il progetto Event Horizon include vari radiotelescopi sparsi sul globo che uniranno le loro forze agendo virtualmente come una singola, potente antenna delle dimensioni della Terra. L’Event Horizon Telescope (EHT) punterà le antenne verso il centro della Via Lattea, cercando di spiare il buco nero che si cela nel nucleo della nostra galassia. Se questo tentativo avrà successo, le spettacolari immagini, che saranno pubblicate tra la fine di quest’anno e gli inizi del 2018, potrebbero aiutare gli astronomi a verificare le predizioni di Einstein e conoscere più da vicino non solo Sagittarius A* (Sgr A*) ,una delle tre componenti della luminosa radiosorgente Sagittarius A, ma anche il buco nero supermassivo della galassia ellittica gigante M87, l’altro obiettivo dell’esperimento.
EHT non è il primo tentativo di osservazione, se pur indiretta, di questa radiosorgente galattica, infatti le precedenti osservazioni di Sgr A*, realizzate sempre con un network di radiotelescopi che operano però a frequenze radio più basse rispetto all’EHT, hanno fornito solo immagini indicative, poiché non sfruttavano un elevato potere risolutivo. Per contro, le misure fatte finora con l’EHT hanno invece raggiunto una risoluzione angolare intorno ai 60 microsecondi d’arco.
L’immagine mostra la parte di cielo entro la quale si trova Sagittarius A*Nonostante questa spettacolare risoluzione angolare (equivalente al diametro sotteso da una mela posta sulla superficie della Luna), queste misure non hanno consentito di ottenere un’immagine della sorgente, perché il network era costituito da soli 3-4 elementi. Ma c’è qualche speranza, poiché il coinvolgimento di altri strumenti in banda millimetrica come Alma (Cile) e il South Pole Telescope (Antartide), rispetto alla rete di radiotelescopi situati in Hawaii, Spagna, Messico e Arizona, permetterà di migliorare la risoluzione angolare e le aspettative in termini della ricostruzione delle immagini.
Event Horizon: un viaggio ai confini della realtà
Operando insieme, le antenne simuleranno un singolo gigantesco strumento delle dimensioni della Terra che sarà in grado di “vedere” direttamente l’orizzonte degli eventi, quel confine che circonda i buchi neri dove tutto ciò che passa oltre non torna mai più indietro, e rivelare la cosiddetta “ombra” di Sgr A*. Di fatto, grazie alla tecnica dell’interferometria radio a lunghissima linea di base (Vlbi), si otterrà il livello più alto di risoluzione spaziale di ogni altro attuale strumento astronomico. Nel caso di Sgr A*, che si estende per circa 24 milioni di chilometri (circa 17 volte più grande del Sole) e che si trova a 26 mila anni-luce, “scattare una foto” è una missione impossibile: il raggio di Schwarzschild, misura fisica interpretabile anche come la distanza minima dal centro del buco nero alla quale la luce può passare senza essere inghiottita definitivamente da questo, risulta decisamente piccolo (10 microsecondi d’arco). Nonostante ciò, gli astronomi sperano di poter vedere le regioni immediatamente più esterne dove il gas viene trascinato nel disco di accrescimento che circonda il buco nero e come la materia viene espulsa lungo i getti. Inoltre ci sarebbe la possibilità di poter definire la dimensione e la forma dell’orizzonte degli eventi e verificare così se la relatività generale sia ancora valida in condizioni estreme.
Le osservazioni, che saranno effettuate in una finestra temporale dal 5 al 14 aprile, per cinque notti, dovranno affrontare alcuni ostacoli. Il maggiore e più significativo di questi è dato dalle condizioni climatiche, in particolare dal tasso di umidità poiché il suo effetto non è solo quello di attenuare il già debole segnale, ma è anche quello di “distorcere” il fronte delle onde radio rendendone pressoché irrintracciabile la fonte.
L’esito di queste osservazioni avrà a che fare con la relatività generale di Einstein, potendone fungere da ennesima riprova sperimentale, oppure mostrandone il limite teorico. Come mai?La relatività generale afferma che un corpo dotato di impulso o, equivalentemente, di massa sufficientemente grande, specialmente una così massiccia equivalente a 4 milioni di soli, possa curvare lo spaziotempo. Questa curvatura può essere calcolata matematicamente, perciò la dimensione dell’ombra prodotta da Sgr A* dovrebbe essere o uguale a quella predetta dalla teoria di Einstein oppure no. È un po’ come ripetere l’esperimento che realizzò Eddington durante l’eclisse del 1919 quand’egli misurò la deflessione dei raggi luminosi di stelle vicine al bordo solare dovuta all’azione esercitata dal campo gravitazionale della nostra stella. Ora, quasi un secolo dopo, gli scienziati eseguiranno una misura similare il cui effetto, però, sarà moltiplicato milioni di milioni di milioni di volte in termini della curvatura dello spaziotempo, ed in condizioni decisamente più al limite.
Ancora una volta, dunque, la ricerca ci ha portati fino al limite della nostra realtà, più di quanto la nostra fantasia possa avvicinarcisi, arrivando al confine estremo che delimita l’esistenza del reale: l’orizzonte degli eventi. Cosa avrà da dirci questa ardita speculazione lo potremo scoprire più in là nel tempo, quando la quantità e la qualità delle osservazioni saranno tali da permettere agli studiosi di lavorare su delle “certezze”. Così che magari, dalla loro analisi, emerga un puzzle dell’universo un po’ più completo di quello attuale. Questo dimostra, per l’ennesima volta, che il migliore strumento in possesso dell’umanità è la sua mente, e se sfruttata a dovere, essa può aprire percorsi, ritenuti prima inimmaginabili, verso la conoscenza del cosmo intorno a noi.
FONTI:
MediaINAF per la notizia;
Wikipedia per i dati tecnici.
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