Esiste una sorta di verità assoluta nel dire che tutte le più grandi opere, quelle indimenticabili, quelle che in un modo o nell’altro, hanno segnato l’immaginario collettivo, sono, in realtà, il frutto di un’ispirazione che ha la radice nella vita di tutti i giorni. C’è chi come la Rowling che ha immaginato gli scenari e i personaggi più celebri di Harry Potter durante un viaggio in treno da Manchester a Londra, oppure C. S. Lewis che arrivò a creare il bellissimo mondo de Le cronache di Narnia dopo un terribile incubo popolato da leoni e streghe malvagie, fino ad autori come Stephen King, la cui ispirazione per scrivere L’Acchiappasogni pare sia arrivata dopo essere stato investito.
Può essere un evento, quindi, più o meno incisivo nella quotidianità a far scattare la molla della creatività, o il destino, per chi crede nella volontà del fato. Eppure, per il Professor J. R. R. Tolkien, invece, è stato diverso: pur parlando di mondi e creature fantastiche, in ciò che scrisse raccontò molto della sua vita, come l’amore verso i paesaggi bucolici da cui ha immaginato la Contea, il disprezzo nei confronti della guerra e persino piccoli dettagli come il diletto nel fumare la pipa.
Ma ogni grande scrittore è anche un grande lettore e fu fra le sue letture, grazie a opere come Beowulf e Kalevala, che Tolkien trovò ciò che gli fornì l’ispirazione necessaria per la nascita dell’immaginario leggendario che porta la sua firma.
Chi ama il genere fantasy lo sa: una volta innescato il meccanismo della fantasia, del sogno e dell’immaginario, è impossibile farne a meno. È pura magia che scorre nelle vene e tutto viene trasformato nel profondo fino a quando un armadio non è più solo un armadio, bensì una porta capace di guidarci in un modo tutto nuovo.
E anche il Professore, in un certo senso, non creò un mondo dal nulla, ma si limitò a riadattare con infinite metafore e simbolismi ciò che aveva potuto ammirare durante la sua crescita.
L’ispirazione di J.R.R. Tolkien
Tolkien crebbe a Sarehole, piccolo villaggio circondato dalla quiete e da un bosco che ha ispirato la dimora di Tom Bombadil, ma l’origine delle Due Torri, invece, viene dalla città di Birmingham, con la Waterworks Tower e la Perrots Folly, due strutture vicine alte circa 30 metri. Pare, poi, che Tolkien abbia preso spunto dagli enormi Pinus Nigra del Giardino Botanico di Oxford per dar vita agli Ent, i custodi della foresta.
A detta del suo biografo H. Carpenter, la cosiddetta “ispirazione per Gandalf”, così scritto su una cartolina illustrata, nacque, invece, da un dipinto del pittore tedesco Josef Madlener intitolato “Der Berggeist”, in cui vi è raffigurato un vecchio con una lunga barba bianca seduto su una roccia, provvisto di un cappello a tesa larga e di un lungo mantello.
L’origine del nome, invece, è da ricercare nella Voluspa, il primo e più celebre poema dell’Edda, nel personaggio di un Re Nano conosciuto come Gàndalfr, che in norreno significa “elfo incantatore”.
Sono presenti, poi, molte altre interpretazioni che vedono in Gandalf una rielaborazione della figura centrale della mitologia nordica:ossia Odino nella sua forma di viandante, un vagabondo dalla barba bianca saggio e potente che tuttavia si regge su un bastone, dettaglio che il Professore confermò in una delle tante lettere al figlio inviate nel 1946.
Tuttavia, prima di essere Il Professore, Tolkien fu anche un soldato e ne Il signore degli Anelli molto c’è della sofferenza della Prima Guerra Mondiale.
E anche per tale argomento, volle discostarsi notevolmente dai suoi contemporanei, cercando di trasformare in immagini evocative e metafore suggestive i terribili scenari cui aveva assistito, evitando di raccontare la guerra direttamente, come una struggente cronaca degli eventi.
Difficile è, infatti, non sentire un groppo in gola nel ricordare lo smarrimento della Compagnia provocato nell’osservare il baratro in cui era appena precipitato Gandalf, la disperazione unita alla rassegnazione di Frodo e Sam, costretti a rifugiarsi in un cratere per ripararsi delle esplosioni attorno a loro, dopo aver lasciato tutta la loro vita e il loro mondo alle spalle solo in virtù della speranza di star facendo la cosa giusta.
Il tutto unito alle innumerevoli scene di battaglia e morte che avvengono sotto gli occhi stupiti e terrorizzati dei protagonisti.
Il bene superiore
Eppure, come ogni fantasy che si rispetti, esiste sempre un “bene superiore” per il quale sacrificare la propria vita, qualcosa per cui valga la pena abbandonare ogni cosa e combattere e, senz’altro, uno di questi motori nei libri di Tolkien è l’amore, presente nella sua vita privata come anche fra i suoi protagonisti.
É nota, infatti, la travagliata storia d’amore tra il Professore e la sua futura sposa Edith Bratt, una storia che molto ha ispirato quella fra la coppia Beren e Lùthien.
Non è un mistero che i nomi di questi ultimi siano incisi rispettivamente sulle lapidi del Professore e di sua moglie, e, proprio come la storia fra un uomo e un’elfa, il loro fu un matrimonio che andava contro le convenzioni sociali dell’epoca, considerando che il tutore di Tolkien era fortemente contrario alla loro unione e lui dovette allontanarsi dalla sua amata per ben tre anni, rischiando di perdere il suo amore per portare a termine i propri studi.
La verità è che si potrebbe parlare per ore del mondo di Tolkien senza mai annoiarsi, perché dietro ogni personaggio e mondo si nasconde una storia che ha infinite vicissitudini, incantando il lettore per la sua capacità di parlare della vita e dei problemi quotidiani usando come metafore elfi, alberi e magia.
J. R. R. Tolkien non era uno stregone, né un eroe, ma un uomo come tanti altri che ha saputo fare del fantasy un veicolo potente per avvicinare intere generazioni alla lettura, arrivando ad affermare con certezza che non c’è mezzo più potente e invincibile della propria fantasia.
Fonte: J. R. R. Tolkien – La biografia, H. Carpenter, Lindau, 2016.
Paola.
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