Meta, la creatura di Mark Zuckerberg, ha deciso di realizzare un’impresa titanica: la posa di un cavo sottomarino lungo oltre 50.000 km, più della circonferenza terrestre. Il progetto, battezzato “Project Waterworth”, mira a ridisegnare la mappa della connettività mondiale toccando quasi tutti i continenti. Ma il tutto nasconde una “magagna”.
Meta costruisce il cavo internet sottomarino più lungo del mondo: ma non è un bene
Uno potrebbe chiedersi: cosa spinge un’azienda come Meta, nota principalmente per piattaforme come Facebook e Instagram, a tuffarsi nelle profondità degli oceani? La risposta risiede nell’importanza strategica delle infrastrutture sottomarine.
Oggi, oltre il 95% del traffico internet mondiale transita attraverso questi cavi. Sono delle vere e proprie autostrade digitali che corrono sul fondale marino. E questo numero dovrebbe far subito capire una cosa: chi controlla questi “tubi” ha un enorme potere sulla connettività globale.
Con Project Waterworth, l’azienda di Mark mira a ritagliarsi una fetta consistente di questo mercato, sfidando altri giganti tech come Google, che già sta investendo miliardi in cavi sottomarini tra Africa e Australia. Ed è proprio questa la magagna a cui accennavo: si tratta di una competizione che potrebbe sollevare più di un sopracciglio tra i regolatori, preoccupati per il crescente potere delle Big Tech su internet.
Detto ciò, la partita non si gioca solo sul piano economico. I cavi sottomarini sono infrastrutture delicate, esposte a rischi di tagli accidentali o sabotaggi deliberati. Meta sembra tuttavia aver preso sul serio questa minaccia, prevedendo di posare il cavo a profondità abissali e di utilizzare tecniche di sepoltura all’avanguardia.

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Inoltre, il percorso di Project Waterworth evita zone calde come il Canale di Suez e il Mar Cinese Meridionale, privilegiando rotte che rafforzano i legami tra USA e Paesi emergenti.
Una scelta che rivela implicazioni geopolitiche tutt’altro che secondarie. Prima di tutto rafforzando i legami tra Stati Uniti e Paesi emergenti del Sud del mondo, l’azienda potrebbe alterare le dinamiche commerciali e diplomatiche esistenti, creando nuove opportunità ma anche potenziali tensioni con attori esclusi da questi collegamenti privilegiati.
Inoltre, possedere un’infrastruttura così importante come un cavo sottomarino permette a Meta di proiettare la propria influenza su scala globale. Chi controlla le rotte della connettività ha un potere enorme nel plasmare i flussi di informazioni e dati che attraversano il pianeta.
E gli utenti? Poco cambia, anzi. Per noi, un’infrastruttura più potente potrebbe tradursi in una rete più veloce e affidabile. Certo, meglio affidarsi ai piccioni però!
Il problema, per così dire, sta altrove: il crescente controllo delle Big Tech sulle dorsali di internet solleva interrogativi sulla concorrenza e sulla neutralità della rete. Ci stiamo forse avviando verso un ecosistema digitale sempre più chiuso, dominato da pochi attori?