“Ogni storia ha un inizio…”
Così fu presentato il primo dei pre-quel di una nota trilogia cinematografica di fantascienza, e fondamentalmente è vero: tutto ciò che esiste ha un punto e un istante in cui ha cominciato ad esistere e prima del quale semplicemente non era (non si tratta dell’essere parmenideo!). Questo vale anche per l’astronomia che, prima di diventare la scienza complessa, tecnologica e affascinante che conosciamo oggi, è stata concepita, formalizzata e dotata degli strumenti ogni volta più nuovi che la tecnologia metteva a disposizione al momento.
Come già menzionato nel primo articolo di questa rubrica, la prima civiltà ad osservare metodicamente il cielo fu, intorno al 3000 a.C., quella sumera, ma già i Babilonesi sapevano orientarsi bene con i moti delle stelle e sfruttarli per le attività più comuni come l’agricoltura e l’archiviazione storica, oltre che per predire il futuro e interpretare la volontà degli dei. Gli Egizi tenevano in alta considerazione gli eventi astronomici e per loro il sorgere di Sirio (αCMa ) del Cane Maggiore era preavviso delle piene del Nilo, ad esempio. Ma furono i Greci a dare all’osservazione astronomica una prima struttura di scienza. Se infatti vi foste trovati a passeggiare in una sera estiva del IV secolo a.C., avreste avuto la fortuna di sentire Aristotele parlare della volta celeste e della sua perfezione indicata dal moto circolare e del cielo sotto la Luna, predominato dal moto rettilineo e quindi pieno di imperfezione. Furono sempre i Greci a dare, ad esempio, alle costellazioni i loro attuali nomi, e a chiamare pianeti (πλάνητες, planetes; che deriva da πλαναο, planao: vagare) le sole stelle che sembravano muoversi, durante il mese, rispetto alle “stelle fisse”.
La prima misurazione scientifica di una distanza cosmica, invece, risale al 240 a.C. circa. Eratostene di Cirene, che dirigeva la Biblioteca di Alessandria, allora l’istituzione scientifica più avanzata del mondo, si domandò come mai il 21 giugno, quando il sole a mezzogiorno si trovava esattamente a perpendicolo sopra la città egiziana di Siene, non fosse invece allo zenit, sempre a mezzogiorno, al di sopra della città di Alessandria, circa 800 chilometri a nord di Siene. Eratostene, per spiegare questo fatto, giunse alla conclusione che la superficie della terra doveva essere curva. Dalla lunghezza dell’ombra rilevata ad Alessandria a mezzogiorno del solstizio era possibile, in base a semplici ragionamenti geometrici, calcolare quale fosse la curvatura della terra lungo gli 800 chilometri di distanza che separavano Siene da Alessandria; da ciò si potevano calcolare la circonferenza e il diametro della terra, supponendo che essa avesse forma sferica, cosa che gli astronomi greci del tempo erano pronti ad ammettere. Eratostene trovò la soluzione: i valori numerici a cui giunse, per quello che possiamo giudicare, equivalevano, tradotti nelle nostre unità di lunghezza, a circa 13 mila chilometri per il diametro e 40 mila per la circonferenza terrestri, cioè a valori numerici quasi esatti (con un errore di “appena” cento chilometri circa!).
Ipparco di Nicea calcolò, attorno al 150 a.C., la distanza dalla terra alla luna in funzione del diametro terrestre, ricorrendo a un metodo che era stato proposto un secolo prima da Aristarco di Samo, il più audace degli astronomi greci. I greci avevano già compreso che le eclissi di luna erano causate dal fatto che la terra veniva a trovarsi tra il sole e la luna. Aristarco intuì che quando l’ombra della terra si proiettava sulla luna, la curvatura di tale ombra poteva indicare le dimensioni relative della terra e della luna. Su tale base, avvalendosi dei metodi geometrici, era possibile calcolare la distanza della luna in funzione del diametro terrestre. Ipparco, ripetendo quest’operazione, calcolò che la distanza tra la luna e la terra era 30 volte il diametro di quest’ultima; se dunque era esatto il valore numerico proposto da Eratostene di 13 mila chilometri per il diametro terrestre, la luna doveva trovarsi a circa 390 mila chilometri dalla terra. Anche questo valore risulta quasi corretto, con un margine d’errore del 6,8% nella distanza media).
Aristarco aveva fatto un tentativo audacissimo di determinare la distanza del sole. Il metodo geometrico da lui usato era in teoria assolutamente corretto, ma richiedeva di misurare delle differenze angolari talmente piccole che egli non riuscì a ottenerne dei valori soddisfacenti, privo com’era dei nostri strumenti moderni. Egli giunse alla conclusione che il sole era a una distanza pari a circa venti volte la distanza della luna (mentre in realtà è pari a circa 400 volte).Anche se giunse a valori errati, Aristarco da essi poté tuttavia dedurre che il sole doveva essere grande almeno sette volte più della terra; facendo osservare quanto fosse illogico supporre che un corpo più grande girasse intorno a uno più piccolo, Aristarco affermò che doveva essere la terra a girare intorno al sole. Purtroppo nessuno gli diede ascolto.
Come avete potuto vedere, già alcune delle scoperte, poi dimostratesi fondamentali, furono fatte sin dagli albori della scienza astronomica; ed è incredibile come quegli uomini, privi com’erano delle conoscenze tecniche di cui noi disponiamo oggi, riuscirono a giungere a conclusioni comunque concettualmente esatte, anche se a volte numericamente errate.
Nel prossimo articolo considereremo periodi storici a noi più prossimi e scopriremo altri avvincenti aspetti riguardanti l’astronomia.
Alla prossima!
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