È esplosa di nuovo la febbre da Attack on Titan (Shingeki no Kyojin). Con l’avvicinarsi degli ultimi capitoli del fortunato shōnen manga di Hajime Isayama e l’omonimo anime, disponibile su Amazon Prime, che lo segue a breve distanza, i fan di tutto il mondo attendono con ansia crescente di scoprire come finiranno le avventure di Eren Jaeger e del Corpo di Ricerca. Assieme all’hype, tuttavia, è tornata in auge anche la polemica sul presunto antisemitismo della serie e del suo creatore, un’accusa che, anche alla luce delle vicende narrate nelle battute finali della storia, appare sempre più assurda.
Attenzione: l’articolo contiene spoiler dall’ultima stagione dell’anime e dai capitoli finali del manga.
Il presunto sottotesto fascista di Attack on Titan
Tutto ha origine da una serie di thread su Reddit e, soprattutto, da un articolo di Tom Speelman pubblicato da Polygon nel giugno del 2019, che metterebbe in luce una vena di intolleranza, antisemitismo e apologia dell’imperialismo giapponese intrinseca all’opera di Isayama. La motivazione, secondo Speelman, va ricercata nelle rivelazioni finali della terza stagione, quando Eren scopre la verità sul mondo in cui è nato: i giganti non hanno distrutto l’umanità, come gli abitanti delle mura avevano sempre creduto, e l’intera popolazione di cui fanno parte i protagonisti appartiene alla razza Eldiana. In una serie di flashback, scopriamo che discendono dagli abitanti dell’Impero Eldiano, una nazione fondata dalla prima gigante Ymir Fritz, che per secoli ha dominato il mondo col potere dei Nove Giganti. Sono gli unici esseri umani in grado di trasformarsi in giganti e, a seguito di una guerra sanguinaria, il loro re si è autoisolato sull’isola di Paradis, dove sono ambientate le prime tre stagioni del manga, cancellando grazie al suo potere la memoria dei propri sudditi con lo scopo di instaurare una pace duratura all’interno delle mura. Il problema evidenziato da Speelman giace nell’evidente parallelismo tra gli Eldiani rimasti sul continente e la segregazione e lo sterminio degli ebrei ad opera del nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale.
Che Isayama si sia ispirato alla tragedia dell’Olocausto è innegabile: gli Eldiani, considerati “progenie demoniaca” dagli abitanti della nazione di Marley, vengono rinchiusi in quartieri-ghetto e costretti a indossare al braccio una fascia identificativa con una stella. Ma non solo: la punizione per gli Eldiani trasgressori è quella di venir trasformati in “giganti puri” privi di libero arbitrio, per mezzo di un’iniezione di midollo spinale, e venire confinati sull’isola di Paradis. Un vero e proprio sterminio di matrice etnica, che è all’origine degli inquietanti e celeberrimi nemici della serie. I detrattori di Isayama hanno visto in questa rappresentazione di un popolo simil-ebraico un messaggio razzista, basandosi sulla cosiddetta accusa del sangue, una credenza profondamente antisemita originatasi nell’undicesimo secolo secondo la quale gli appartenenti alla religione ebraica praticherebbero il cannibalismo per rituali di magia nera. Inoltre, criticano l’aspetto grottesco dei giganti puri, con teste enormi ed espressioni istupidite, che a detta loro avrebbe implicazioni denigratorie.
Poco importa che gli Eldiani siano i protagonisti con cui abbiamo empatizzato per tre stagioni. Poco importa che l’ispirazione per i giganti puri derivi, a detta di Isayama stesso, dal suo incontro con un ubriaco barcollante fuori da un locale. E nemmeno che le atrocità che ci vengono mostrate vedano gli Eldiani esclusivamente come vittime di un’orrenda propaganda di stampo fascista, di cui la creazione di questi giganti cannibali è il principale carburante. Il messaggio della serie viene completamente frainteso, come dimostra anche l’accusa successiva di Speelman: una presunta apologia dell’esercito, a suo dire presentato come potere supremo e mai messo in discussione. Evidentemente, chi la pensa così deve essersi perso la profonda critica presente nella serie fin dalla prima stagione, quando il nonno di Armin muore assieme a centinaia di migliaia di soldati, mandati a morire per diminuire la popolazione umana ed evitare una carestia. O la scena in cui un ufficiale tenta di uccidere Eren e i suoi amici quando il protagonista viene accusato di essere un gigante, reagendo con tutta la rigidità tipica di un esercito attaccato col cordone ombelicale ai protocolli.
L’ispirazione al mondo reale e la fascinazione per la storia militare non corrispondono all’apologia di fascismo.
Ma non contenti di aver del tutto distorto gli avvenimenti presentati nella serie, gli utenti di Reddit e Speelman hanno deciso di scavare nel passato del mangaka, trovando prove a loro detta incontrovertibili che il giovane autore sia un simpatizzante dell’estrema destra e un nostalgico dell’imperialismo giapponese degli anni ’30 e ’40. Tutto si basa su un tweet del 2013, proveniente dall’account @migiteorerno, che qualcuno ha ipotizzato potesse essere il profilo privato di Iasayama. Il tweet traboccava di ignoranza sui fatti dell’occupazione giapponese della Corea, sminuendo le azioni dell’esercito imperiale e definendole “molto lontane dalle atrocità dell’Olocausto nazista”. Tuttavia, le prove che questo sia effettivamente l’account di Iasayama si riducono ad alcune corrispondenze sui film recensiti dal suo blog ufficiale e sulla lista di followers di @migiteorerno, che comprenderebbe alcuni membri dello staff del mangaka. Forse un po’ poco, per un’accusa così grave.
A questo, si unisce una sua dichiarazione del 2010 in cui raccontava di aver tratto ispirazione per il personaggio di Pixis da un celebre generale giapponese, Akiyama Yoshifuru. Presentato come una figura eroica e positiva dalla storiografia nipponica, è uno dei principali responsabili dei crimini di guerra commessi dall’esercito imperiale in Corea.
E qui, come si suol dire, casca l’asino: se anche il tweet del 2013 fosse attribuibile a Isayama e lo schema sostenuto da Speelman fosse effettivamente vero, questo sarebbe sufficiente a etichettare l’autore di Attack on Titan come un simpatizzante fascista? La risposta è: no. Come spesso accade, la stampa americana si scaglia sul resto del mondo da dietro un muro di profonda ignoranza storico-politica, che non tiene in conto il contesto culturale da cui proviene un artista come Isayama.
Il vero messaggio dell’opera di Isayama
Posto che, come ammesso dallo stesso Speelman, le vere intenzioni di Isayama possono essere note solo a lui, è davvero difficile immaginare che dietro una narrazione come quella di Attack on Titan possa esserci una mente allineata a posizioni di estrema destra e, addirittura, nostalgica del nazifascismo, anche quello (erroneamente definito tale) di matrice nipponica. Proviamo ad analizzare meglio alcuni elementi della storia.
Come detto in precedenza, gli Eldiani vengono presentati come un popolo oppresso. Tuttavia, è vero che la propaganda Marleana li dipinge come un popolo originariamente imperialista, che ha sottomesso per secoli il mondo col potere dei giganti. Ma quanta verità c’è in questa versione? Più la trama prosegue, più scopriamo come la verità sia sfuggevole: gli Eldiani ribelli parlano del loro antico Impero come di una nazione che ha aiutato il mondo a svilupparsi. Ciò che appare evidente è come, dopo la rivelazione che ha sconvolto tanto gli spettatori quanto i personaggi stessi, Isayama si sia prodigato a costruire un’ambientazione estremamente complessa da un punto di vista sociopolitico. Abbiamo Marley, una nazione aggressiva di stampo nazista, che utilizza gli Eldiani come armi umane e ne spedisce centinaia a fare da carne da cannone, facendo loro il lavaggio del cervello e promettendo redenzione dal sangue demoniaco che li rende mostri. Un parallelismo evidentissimo con il trattamento riservato da molte potenze coloniali europee ai soldati di origine africana e mediorientale arruolati nei loro eserciti.
Poi ci sono gli Eldiani ribelli di Marley, che aspirano a liberare il proprio popolo e si alleano, alla fine, con quelli di Paradis. Tuttavia, anche tra gli stessi protagonisti compaiono posizioni molto diverse: dalla fazione neo-imperialista e terroristica di Eren si passa al quella più moderata di Armin e Historia, e il punto di vista dello spettatore viene costantemente ribaltato, mostrandoci come ogni singola corrente di pensiero eldiana abbia, in qualche modo, le proprie ragioni per agire, ma allo stesso tempo criticando con forza chiunque compia azioni sconsideratamente violente. C’è un senso di colpa serpeggiante negli ultimi episodi, a cui danno voce ripetutamente numerosi personaggi, che indirizzano il messaggio etico della serie in modo inequivocabile. Le azioni di Eren quando attacca il ghetto eldiano durante il festival sono presentate come profondamente immorali, e molto significativo è il dialogo tra lui e Reiner, il quale si lascia cadere in ginocchio rivelando di non sopportare più il peso dei morti che ha causato durante il primo attacco alle mura.
Attack on Titan si mostra sempre più come una feroce critica alla guerra, evidenziando quanto sia difficile uscire da una spirale violenta alimentata dalla propaganda e da una distorsione della storia. Per certi versi, ricorda ciò che The Last of Us: Parte II ha fatto su un piano più psicologico: costringerci a empatizzare con punti di vista diametralmente opposti e legati da una rabbia profonda e radicata, per mostrarci quanto futile sia abbandonarsi ad essa. Un approccio originale e innovativo per uno shōnen manga e un autore giapponese. La serie trabocca di dolore e prende coscienza della natura subdola dell’odio, trasportando in chiave fantasy la storia recente di un mondo, il nostro, che fatica ad affrontare i propri traumi e gli spettri dei propri stessi errori.
L’importanza del contesto culturale
Non si può pensare di analizzare un’opera come Attack on Titan ignorando da dove proviene. Non ci si può permettere di giudicare il suo autore sulla base di argomentazioni americano-centriche, soprassedendo su ciò che è la storia e la cultura del paese in cui è nato e cresciuto. Le sue dichiarazioni sulla Corea, vere o presunte, provengono da un sistema scolastico diverso dal nostro, che analizza i fatti storici da un’altra prospettiva.
Cosa viene insegnato in Italia su Cristoforo Colombo? Che è stato un grande esploratore e un pioniere del viaggio per mare. Nessuno, da noi, parla delle atrocità commesse dai suoi uomini ai danni delle popolazioni indigene.
Cosa viene raccontato di Churchill nel Regno Unito? Che è stato l’eroe che ha respinto e poi sconfitto sul campo i nazisti. Pochi raccontano di ciò che fece l’esercito britannico su suo ordine in Kurdistan e Afghanistan, utilizzando armi chimiche considerate abominevoli già all’epoca.
Come viene ricordato il presidente Truman negli Stati Uniti? Colui che ha costretto il Giappone alla resa, che ha messo fine alla guerra e, quattro anni dopo, ha salvato Berlino Ovest con il suo celebre ponte aereo. E cosa si dice delle vittime del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki? Che “erano necessarie”. Anche se la storiografia moderna ha ampiamente confutato questa tesi propagandistica.
È davvero così sconvolgente che un giovane mangaka giapponese sia cresciuto con un’idea positiva di un personaggio come Yoshifuru? O che esprima un’opinione semplicistica su un fatto storico che coinvolge l’esercito del suo paese nel momento più nero della sua storia? Basta davvero questo a bollarlo come un “filo-nazista”, come si legge troppo spesso su Twitter e blog americani?
Ritengo che noi occidentali avremmo tanto da imparare da Attack on Titan e dalla profonda, lacerante sofferenza che racconta. Pensiamo alla scena in cui ci vengono mostrati gli ufficiali di Marley intenti a testare le capacità del Gigante Colossale. Il fungo infuocato all’orizzonte e i militari che si schermano gli occhi con occhiali anti-radiazioni, stringendosi la mano, congratulandosi. Una scena già vista nel 1945, quando gli scienziati del Progetto Manhattan detonarono la prima testata nucleare nel deserto del Nevada. Un riferimento tanto evidente quanto atroce, che cela in sé l’agonia disumana di centinaia di migliaia di innocenti, i cui corpi furono liquefatti dal calore, le cui carni ustionate furono aggredite dalle mosche e dalle radiazioni.
Vorrei che blogger e utenti americani su Reddit riflettessero su questo, prima di puntare il dito.
O magari al significato della sottotrama socio-politica di Paradis, una nazione isolata per generazioni che si trova a doversi modernizzare in pochissimi mesi, a districarsi tra gli intrighi politici di un mondo che non comprende, finendo per diventare bersaglio e pedina di altri popoli. E al cui interno torna a germogliare il seme dell’imperialismo, con i moderati che faticano a mantenere il controllo, fin quando le azioni di pochi sbandati definiscono il destino del resto della popolazione, alimentando una spirale di violenza senza fine. Una storia, questa, drammaticamente simile a quella dello stesso Giappone in seguito alla Restaurazione Meiji, un parallelismo profondamente autocritico che è difficile attribuire a un nostalgico dell’Imperatore Hirohito.
Questo senza ovviamente contare il già citato parallelismo con l’Olocausto, che giudicare apologettico significa distorcerne profondamente il significato e vedere complottismo antisemita dove non esiste.
Chiudo con una nota personale. Se avete letto altri miei articoli, sapete quanto io sia schierato sul fronte progressista. Sono un attivista per i diritti LGBTQIA+, un antifascista e lavoro per un’organizzazione umanitaria che costruisce ospedali in zona di guerra. Detesto la retorica attorno alla cosiddetta “cancel culture” e al “politicamente corretto”, perché la ritengo parte di un’offensiva culturale di stampo alt-right per invalidare le lotte per i diritti civili delle minoranze. Ma allo stesso tempo, sono laureato in lingua e cultura giapponese, e ho avuto modo di studiare la storia mondiale e asiatica da un punto di vista non eurocentrico, oltre che di toccarne con mano i luoghi e avere modo di confrontarmi con accademici occidentali e giapponesi su questi argomenti. Bisogna fare molta attenzione, quando si fruisce un’opera complessa come quella di Isayama, a non dimenticare mai il contesto in cui nasce. Se non lo si conosce, bisogna studiare, documentarsi, prima di azzardarsi a scriverne su un blog nei termini in cui lo ha fatto Speelman.
Perché se c’è una cosa che Attack on Titan ci sta insegnando, episodio dopo episodio, è quanto possa essere pericoloso riscrivere la storia.
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