Girano da secoli e sono rapide, imprevedibili e destano scalpore perché credibili e contornate da quel velo di accusa che piace tanto a chi crede di saperla lunga.
Sono le fake news, o bufale, o le sorelle cattive dei falsi amici che, spesso, vengono deliberatamente diffuse in rete per creare allarmismi, indignazione o, più semplicemente, solo falsa informazione. Ma quali sono i meccanismi che ci inducono a credervi e come possiamo immunizzarci? E, soprattutto, è importante dirlo subito: a cadere nel subdolo inganno non sono soltanto le persone con scarsa cultura o un basso livello d’istruzione, ma può essere chiunque.
Solo due parole: economia cognitiva. La nostra mente è tendenzialmente una creatura accidiosa, dedita, cioè, all’inerzia morale. Potrebbe accumulare miliardi e miliardi di informazioni, ma preferisce oziare tra cose risapute e nozioni imparate perché costretta a farlo, piuttosto che andare a fondo della questione e non fidarsi a prescindere di ciò che ci viene detto da una persona di cui ci fidiamo. Perché non importa quanto siamo colti e preparati. Se una notizia ci arriva da una fonte che riteniamo credibile, noi come prima reazione, ci crediamo. Tutto per risparmiare sforzo e tempo, dando per scontato che qualcun altro abbia già vagliato l’informazione al posto nostro, riducendo, così, il carico cognitivo per far spazio nella nostra mente già oberata da milioni di informazioni da gestire nel quotidiano.
Fake News: un processo cognitivo
Un processo, questo, che non risparmia nessuno. Tutti tendiamo a cercare conferme alle nostre credenze, prendendo in considerazione ciò che avvalora la nostra idea e scartando il resto. Il problema è che sui social, i contenuti ci vengono mostrati in base a un algoritmo che tiene conto dei nostri like, commenti, preferenze, riproponendoci sempre materiale affine a quello per cui abbiamo già mostrato interesse, generando l’illusione che tutti la pensino come noi. Questa percezione è ulteriormente favorita da una distorsione cognitiva per cui noi tendiamo a credere che le nostre opinioni siano più comuni e diffuse di quanto siano in realtà (l’ “effetto del falso consenso”). Accadrà, quindi, che se una notizia ci sembra verosimile rispetto agli standard che abbiamo in mente questo sarà sufficiente per considerarla attendibile.
Il più delle volte è, inoltre, davvero difficile conoscere gli autori delle fake news. Noi non conosciamo loro ma, di sicuro, loro conoscono noi: le nostre paure, i nostri pregiudizi, il malessere collettivo, propagandosi velocemente soprattutto grazie ai grandi colossi della rete che favoriscono una maggiore ricerca e diffusione delle informazioni. Ma, a prescindere da questo, il punto di partenza rimane che si crede a quello in cui già prima si voleva credere. La paura, in questo senso, è una componente essenziale del processo: la paura che venga confermato da una fonte autorevole che il nostro peggior incubo sia diventato realtà o che ciò che abbiamo sempre professato, fino a sgolarci nelle conversazioni con gli amici, si è rivelato, infine, tutta una crudele montatura.
Cosa fare, quindi, per immunizzarci da questa paura, per non cadere vittime di questa economia cognitiva?
Alleniamo la mente e mettiamo tutto, sempre, in discussione prima di darlo per vero! Inoltre: controllare la fonte e l’autore, aspettare prima di rilanciare la notizia, non fermarsi al titolo spesso fuorviante, controllare se le immagini e i video sono autentici, verificare la data. Detto in altre parole, non cediamo al lato oscuro della pigrizia e diamoci da fare per spezzare le catene della falsità, dei social e quelle ancor più tremende di WhatsApp, il vero male della nostra società.
Fonte: Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta.
Link: https://www.centropagina.it/benessere/bufale-perche-ci-crediamo-psicologia/
Paola.
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